Dubravka Ugrešic, un’intervista inedita e la scrittura nitida
Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo
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Con poche eccezioni (fra queste il ritratto di Antonio De Sortis su Alias domenica) i media italiani hanno dato notizia in ritardo e con poco risalto della morte di Dubravka Ugrešic, avvenuta il 17 marzo a Amsterdam, dove la scrittrice – nata jugoslava da padre croato e madre bulgara – viveva da anni. Di questa indifferenza Ugrešic non si sarebbe stupita più di tanto, basti leggere il testo conclusivo dell’ultimo suo libro edito in italiano, lo splendido La volpe, tradotto da Olja Perišic per La Nave di Teseo (che, sia resa lode, ha appena ripubblicato un altro suo titolo, Il museo della resa incondizionata, uscito nel 2002 da Bompiani nella stessa traduzione di Lara Cerruti, prefazione di Predrag Matvejevic).
«Il mio settore professionale – scrive Ugrešic in questo racconto che comprende una descrizione esilarante della Scuola Holden di Torino (“una sorta di Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, corporativa, adattata ai nostri tempi”) – si suddivide in economy class e business class, rispetto alla visibilità mediatica dell’autore e ai suoi compensi. La grande maggioranza degli scrittori si trova in economy class, una minoranza trascurabile in business class… In ogni caso io rientro nell’economy class, autentico vivaio di misantropia».
E misantropico e buffo è il seguito: il resoconto di un viaggio aereo durante il quale il viaggiatore davanti «abbassa il sedile, anche se sa bene che con questo gesto mi schiaccia le ginocchia e mi fa rovesciare il caffè sulle gambe», perché – e qui sta il genio della scrittrice – «i poveri amano vantarsi, pavoneggiarsi, sbattere le ali, mettersi comodi sul sedile visto che l’hanno pagato, calpestare il vicino mandandogli il messaggio che è un esemplare umano del tutto trascurabile, come d’altronde lo sono loro».
Il fascino dei libri di Ugrešic sta qui, nella precisione di uno sguardo che grazie alla sua nitidezza coglie (e accoglie) gli aspetti assurdi e fantastici del mondo in cui viviamo, un mondo che la scrittrice osservava con pena. Lo si capisce in un’intervista inedita rilasciata a Andrea Toribio nel 2021 e pubblicata adesso dalla rivista messicana Letras libres: «L’orologio globale non funziona più per tutti allo stesso modo. La circolazione dei flussi di informazione ha perso significato perché percepiamo sempre le stesse cose. Allo stesso tempo, la tragedia più drammatica oggi, la vita dei rifugiati, sembra passare inosservata dalla società. E questa mancanza di consapevolezza si ripercuote su altri sconvolgimenti cruciali come la revisione della storia, soprattutto quella dei paesi ex comunisti dell’Europa dell’Est, la ‘destigmatizzazione’ del fascismo storico, l’emergere del neofascismo…».
Né Ugrešic si pensava «da meglio» in quanto scrittrice, sia pure di economy class: in una bella serie di ricordi dei suoi traduttori in inglese proposta da Literary Hub, Vlad Beronja nota che «nella sua immaginazione socialmente sovversiva, Dubravka vedeva una profonda affinità tra il proprio lavoro letterario e le acrobazie di una donna delle pulizie polacca ad Amsterdam, la malinconica musica di strada di una donna rom a Berlino, il mestiere meticoloso di una manicure vietnamita a New York: tutte figure precarie, migranti, esposte ai capricci crudeli del mercato capitalista».
Ricorda un’altra sua traduttrice, Ellen Elias-Bursac, di averla chiamata l’8 marzo, la giornata internazionale della donna, per farle gli auguri: «Mi ha detto che era malata e che lo era da più di tre anni. Questo è accaduto nove giorni prima che morisse. In questi anni io e lei abbiamo lavorato a stretto contatto sulle traduzioni, ma non lo sapevo. In Croazia c’è un detto: nascondere qualcosa come un serpente nasconde le zampe. Molto Dubravka».
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