Piovono accuse sull’Iran per la vendita di droni che l’esercito russo starebbe impiegando nella guerra in Ucraina. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e parte del suo comando militare hanno reso noto che gli attacchi russi degli ultimi giorni sarebbero stati compiuti anche con l’uso di droni Shahed-136 fabbricati dalla Hesa, compagnia di stato iraniana. Ma già in luglio il consigliere per la sicurezza degli Stati uniti, Jake Sullivan, aveva denunciato alla stampa che Teheran si stava preparando ad inviare droni kamikaze alla Russia. In settembre infatti il Dipartimento del tesoro americano aveva sanzionato tre compagnie iraniane per produzione, sviluppo e vendita di droni alla Russia. «Gli Stati uniti rinforzeranno le sanzioni contro Russia e Iran e le applicheranno a chiunque sostenga l’invasione russa dell’Ucraina» aveva dichiarato il sottosegretario al tesoro americano Brian E. Nelson. Poco dopo il Wall Street Journal aveva scritto che fino a quel momento l’esercito russo aveva utilizzato gli Shahed-136 soprattutto nella regione di Kharkiv.

MA LO SCORSO LUNEDÌ sembra che i droni iraniani siano stati usati per colpire obbiettivi nella capitale. Nonostante le accuse, ieri il ministro degli esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha affermato in un comunicato che «la Repubblica Islamica non ha venduto e non venderà armi da usare nella guerra in Ucraina». E in una telefonata con la sua controparte portoghese João Gomes Cravinho ha ribadito la convinzione dell’Iran che «vendere armi a entrambe le parti non farà che prolungare la guerra». Domani però la vendita di droni iraniani a Mosca sarà al centro di un vertice dei ministri degli Esteri europei a Lussemburgo.
La dichiarazione di Amir-Abdollahian è in linea con l’atteggiamento che Teheran ha assunto sul tema della guerra. L’ayatollah Khamenei e il governo iraniano hanno sempre mantenuto un atteggiamento di neutralità, sostenendo la pace come unica soluzione valida. Non è mancata però una chiara accusa agli Stati uniti, definiti «regime mafioso» dalla guida suprema dell’Iran. Certo è che la pressione sanzionatoria sempre più forte sull’Iran a seguito delle proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini e il continuo invio di armi da parte occidentale all’esercito ucraino, spingono Mosca e Teheran sempre più vicine.

A gennaio Iran e Russia hanno firmato un accordo di mutua cooperazione militare di lunga durata. Per ora prevedrebbe la cooperazione in ambito di anti-terrorismo e scambio di personale militare, ma garantirebbe implicitamente il sostegno all’Iran della Russia all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite e nel processo negoziale del Jcpoa. Ma gli accordi presi dai due paesi dall’inizio dell’invasione in Ucraina sono diversi e non si fermano solo al campo militare. A luglio, nell’unico viaggio fuori dai confini dell’ex Urss di Vladimir Putin, a Teheran si sono incontrati il presidente turco Erdogan, il quello iraniano Ebrahim Rasisi e il capo del Cremlino. In quell’ occasione Gazprom e la National Iranian Oil Company (Nioc) hanno firmato un memorandum di intesa per un investimento da 40 miliardi di dollari nel campo energetico.

GAZPROM si è quindi impegnata a sostenere lo sviluppo di due giacimenti di gas e di sei di petrolio sul territorio iraniano. L’intesa non si è fermata ai soli investimenti nel reparto energetico, ma ha trovato terreno fertile anche sul piano finanziario. Mosca e Teheran hanno stipulato un accordo che prevede un commercio paritetico in rubli e rial e la progressiva unificazione dei sistemi bancari dei due paesi, per creare un’alternativa al sistema Swift sotto il controllo americano.
Sono diversi i punti di contatto tra la Repubblica islamica e la Federazione russa e non è difficile da credere che, con una guerra in corso per la Russia e il mercato globale pressoché chiuso per l’Iran, i due paesi abbiano trovato accordi sulla vendita di materiale bellico.