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Diga di Vanoi, Trentino contro Veneto. Scontro in casa Lega

Il torrente Vanoi poco a monte della centrale idroelettrica di CaoriaIl torrente Vanoi poco a monte della centrale idroelettrica di Caoria

La transizione Cittadini e comuni chiedono ascolto: «Non sarà un altro Vajont» Domani primo dibattito in presenza sull’opera faraonica

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 8 settembre 2024

Alla battaglia popolare contro la costruzione della diga del Vanoi, al confine tra Trentino Alto Adige e Veneto (in un’area indicata come di livello P4, rischio massimo idrogeologico) si è aggiunto il contenzioso legale. Venerdì scorso la Provincia di Trento ha annunciato l’intenzione di convocare una conferenza di servizi per analizzare i progetti di realizzazione dell’impianto presentati dal Consorzio di bonifica Brenta e valutare eventuali azioni legali contro l’ente. La delibera della giunta rimarca la contrarietà all’opera e «l’illegittimità dell’avvio del dibattito pubblico sulla diga» sia per ragione giuridica, «dato che si violano le disposizioni degli accordi vigenti tra il Trentino e il Veneto», che per il metodo «per il mancato coinvolgimento del nostro territorio, per la contrarietà dei nostri enti locali, per la difesa idrogeologica». Nonché per le lacune nelle progettualità. Il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, ha sottolineato che la questione è stata portata anche all’attenzione del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ma ha cercato di rassicurare sul fatto che la Lega non intende dividersi su questo tema.

LA VICENDA DELLA DIGA, e del relativo bacino, che dovrebbe sorgere nel torrente Vanoi (che nasce in Trentino, a Passo Cinque Croci), oltre a essere al centro di una battaglia ambientalista dei comuni limitrofi per il concreto rischio Vajont, è anche una questione politica tutta interna al Carroccio dato che ha messo su fronti opposti l’amministrazione provinciale leghista di Trento e il presidente del Veneto Luca Zaia, che invece ha avviato la realizzazione dell’impianto a uso plurimo (acquedottistico, irriguo, idroelettrico). Tuttavia l’offensiva giudiziaria arriva anche da Bruxelles: l’europarlamentare di Europa Verde ed ex consigliera di opposizione della regione Veneto, Cristina Guarda, ha formalizzato una denuncia al Commissario europeo per segnalare la violazione di ben sei norme e di un regolamento Ue.

Si abbandoni il progetto: evidenti i rischi ambientali e la non conformità con le leggi europee. Serve un dibattito trasparente Legambiente

«Sarebbe un errore – spiega Guarda – se Trento non reagisse alla provocazione veneta, anche alla luce del fatto che il Veneto può difendere l’agricoltura dalla siccità con altri progetti, molto più efficaci e molto meno costosi: dalla manutenzione degli invasi alla ricarica controllata di falda. Tanto più dopo le distanze prese dall’assessore competente della regione Veneto Gianpaolo Bottacin, che dovrebbero tradursi ora in un dietrofront, visto che è proprio la giunta Zaia ad aver avanzato la richiesta di finanziamento della diga, indicandola come primo progetto strategico nel Piano siccità inviato al governo Meloni».

ANCHE IL PRESIDENTE della provincia di Belluno, Roberto Padrin, ha ribadito un fermo no all’opera: «Montagna e pianura devono essere alleate e non vedersi come competitor sul tema della risorsa idrica, che riguarda tutti. Sappiamo quanto sia urgente arginare gli effetti climatici sulla disponibilità idrica ma non serve creare opere faraoniche e irrispettose degli ecosistemi e delle popolazioni che li abitano per realizzare gli obiettivi di conservazione dell’acqua». Anche le istituzioni di Belluno hanno tentato di proporre alternative, così come i comitati ambientalisti e di cittadini che si oppongono alla diga, ma il primo appuntamento previsto dalla legge di dibattito pubblico, il 5 settembre scorso, si è rivelato una presentazione in powerpoint. Alle circa 150 persone collegate è stato disattivato il microfono, hanno quindi dovuto ascoltare gli ingegneri del ministero senza poter discutere e fare domande. Dall’incontro sarebbe emerso come soluzione più semplice un invaso da circa 20 milioni di metri cubi d’acqua, il più piccolo tra quelli inseriti come alternative di progetto ma comunque impattante su un territorio con un altissimo rischio idrogeologico.

LEGAMBIENTE HA BOCCIATO l’opera perché «presenta gravi rischi per l’ecosistema locale e non risolve i problemi idrici della regione, aggravando le difficoltà di approvvigionamento per le comunità locali e per l’agricoltura». L’associazione ambientalista ha chiesto al Consorzio di bonifica Brenta di abbandonare l’ipotesi della diga a causa degli «evidenti rischi ambientali e idraulici, visto che la costruzione comprometterebbe irreparabilmente la naturalità del torrente Vanoi, habitat di specie rare, già in pericolo di estinzione, e potrebbe minacciare la biodiversità della zona». Legambiente avvisa anche l’ente che la costruzione della diga contrasta con la Nature Restoration Law (il regolamento europeo approvato lo scorso agosto, che impegna gli Stati membri a ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat in cattivo stato di conservazione entro il 2030) e sottolinea inoltre come l’alterazione del regime idrico causata dalla creazione di un lago artificiale aumenti il rischio di alluvioni e smottamenti. Non manca la critica al metodo di lavoro del Consorzio di bonifica Brenta, che «sembra trattare le consultazioni come una mera formalità, proponendo scadenze rapide per esprimersi senza peraltro aver fornito adeguate informazioni tecniche».

INTANTO I COMITATI dei cittadini minacciano battaglia: domani si terrà un altro dibattito pubblico di quelli previsti dalle legge, per la prima volta in presenza. Ci saranno sindaci, rappresentanti delle opposizioni, associazioni ambientaliste e stavolta sarà difficile per l’ente evitare contestazioni e richieste di approfondimento

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