Francesco Comiti
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Politica

Comiti: «È grave l’assenza di uno studio di dettaglio sui possibili crolli»

I dubbi sulla diga del Vanoi Intervista a Francesco Comiti, docente di Gestione dei bacini idrografici dell'Università di Padova
Pubblicato 27 giorni faEdizione del 8 settembre 2024

Professor Francesco Comiti, docente di Gestione dei bacini idrografici dell’Università di Padova, che idea si è fatto dello studio relativo al progetto Serbatoio del Vanoi?
Premetto che le mie dichiarazioni sono a titolo personale. Il documento presenta degli errori concettuali e delle mancanze che lo rendono a mio avviso inadeguato allo scopo. Innanzitutto, è grave l’assenza di uno studio di dettaglio, quantitativo, su volumi e localizzazione dei possibili crolli in roccia dai versanti e le relative conseguenze che si creerebbero nell’invaso.

Che cosa intende con «errori concettuali»?
Viene spesso argomentato nel documento che l’ambiente naturale beneficia delle derivazioni a uso irriguo per il loro contributo alle falde, sottintendendo che l’acqua lasciata fluire verso il mare sarebbe uno «spreco» anche per l’ambiente stesso. Questo è un errore concettuale. Le falde sono naturalmente connesse con gli alvei, e le portate in alveo alimentano le falde nella zona di ricarica nella pedemontana, secondo precise dinamiche in base alle quali si sono evolute le comunità biologiche dello specifico sistema fluviale. I periodi di magra mettono sotto stress l’ambiente fluviale ma questo è «naturale» e anzi benefico che accada, fa parte del regime idrologico e quindi della dinamica ecologica da tutelare. La siccità è sicuramente una situazione di emergenza, ma lo è primariamente per la nostra società. È ovviamente necessario trovare soluzioni a questo, senza però mascherare come benefici ecologici le alterazioni idro-ecologiche che invece devono venire limitate il più possibile per tutelare gli ecosistemi fluviali. La letteratura scientifica internazionale ha ampiamente dimostrato che un fiume non deve essere gestito come fosse un acquario.

La direttiva europea impone limiti più stringenti di prelievo idrico dai fiumi, a tutela del deflusso ecologico.
Dagli anni Novanta è stato introdotto l’obbligo di garantire il Deflusso minimo vitale (Dmv) cioè l’obbligo di lasciare un po’ di acqua nelle dighe, per garantire una potata minima nel fiume, costante nel tempo. Ma questo ha stravolto gli ecosistemi fluviali, si è quindi capito che era necessario garantire un Deflusso ecologico (De) che sia variabile secondo la stagionalità del regime idrologico naturale. Ma l’acqua da sola non basta, e più recentemente è emersa a livello comunitario e nazionale la necessità di preservare o ripristinare la continuità monte-valle dei sedimenti trasportati dalla corrente, che gli sbarramenti delle dighe vanno a interrompere.

La normativa è stata recepita anche in Italia?
È entrata in vigore nel 2022, a scapito del consumo a uso irriguo. Ma è stata subito messa in deroga, a causa degli eventi siccitosi di due anni fa. Il Consorzio di bonifica Brenta argomenta che grazie all’invaso del Vanoi si potrà garantire al fiume Brenta, a valle di Bassano, il rispetto del deflusso ecologico previsto dalla normativa, ma questo è uno snaturamento concettuale della finalità del De: se non vi è sufficiente deflusso in un sistema fluviale si devono rivedere i prelievi idrici attuali, non costruire nuove dighe alterando ulteriormente il regime idrologico e quindi l’ecosistema fluviale.

Ma se le portate dei fiumi sono sempre più basse, l’acqua per irrigare dove la prendiamo?
È proprio qui che è carente il documento, perché non contempla nessuna alternativa alla costruzione di una diga ma solo la cosiddetta «opzione 0», vale a dire la non realizzazione della diga. Dovevano invece essere valutate altre possibilità. Ad esempio, lo sghiaiamento della diga del Corlo che farebbe guadagnare almeno 5 milioni di metri cubi d’acqua, secondo i dati del Distretto idrografico delle Alpi orientali. Ma il dato è del 2015 e sicuramente oggi avremmo volumi maggiori.

Quali potrebbero essere le soluzioni per soddisfare il fabbisogno idrico?
Il riciclo degli impianti di depurazione delle acque reflue, da riutilizzare a uso irriguo, laddove non ci siano problemi di inquinamento. Si potrebbe poi aumentare l’alimentazione della falda dal Brenta grazie a interventi di allargamento e rialzo di quota del fiume che permetterebbero anche di incrementare la qualità idromorfologica del tratto pedemontano. Serve uno studio modellistico di dettaglio per avere stime affidabili, ma il tema è noto a livello mondiale: allargare l’alveo garantirebbe più sicurezza durante le piene e una ricarica di falda maggiore. Tali interventi permetterebbero di aumentare il livello di falda, che nel fiume Brenta è sceso drasticamente a causa dell’estrazione di ghiaia dal greto fino a trent’anni fa. E poi ci sono le Afi, Aree di infiltrazione forestale che già funzionano egregiamente.

In sintesi, ci sono delle alternative percorribili?
Certo, ma ci vuole un cambio di strategia radicale, come è avvenuto negli altri Paesi europei. E dobbiamo anche porci delle domande come società su quanto sia saggio e sostenibile continuare con le colture agronomiche attuali.

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