Di Maio e Salvini zittiscono il «collega». Ma la coperta è corta
Il Cavallo di Tria Smentita l’idea di toccare gli 80 euro e l’Iva: «È una fake news». Rebus totale sulle coperture di flat tax, «reddito» e Fornero. Dal ministero dell’Economia però non abbandonano l’idea: misure strutturali sono meglio dei bonus
Il Cavallo di Tria Smentita l’idea di toccare gli 80 euro e l’Iva: «È una fake news». Rebus totale sulle coperture di flat tax, «reddito» e Fornero. Dal ministero dell’Economia però non abbandonano l’idea: misure strutturali sono meglio dei bonus
Il fuoco di sbarramento ferma Tria già di primo mattino. Aumento anche parziale dell’Iva per risparmiare una parte di quei 12,5 miliardi necessari per sterilizzarlo? Cancellazione degli «80 euro» renziani, che saranno pure una mancetta ma toglierla di mezzo darebbe una pessima impressione? Di Maio e Salvini nemmeno ne vogliono sentir parlare. Prima di tutto fanno uscire le proverbiali voci da palazzo Chigi che tagliano corto: «Sono fake news». Poi escono allo scoperto di persona e a ruota. «Il governo è compatto nella volontà di non aumentare l’Iva e di non mettere le mani in tasca agli italiani», assicura Di Maio. Il no di Salvini è altrettanto perentorio: «Il governo non pensa di togliere gli 80 euro e non vuole aumentare l’Iva».
MANCA SOLO UNA VOCE perché la compattezza vantata da Di Maio sia certificata: quella del ministro Tria e non è un particolare secondario. Smentire per il ministro dell’Economia non sarebbe facile. L’ipotesi di intervenire sugli 80 euro la aveva confessata, ancora prima che ai colleghi governanti, alla stampa, nell’intervista-fiume al Sole-24 Ore di mercoledì. Di arrendersi a un parziale aumento dell’Iva invece il ministro non ha mai parlato pubblicamente, o meglio lo avevo fatto ma prima di insediarsi in via XX settembre. Le indiscrezioni che partivano dal Mef, però, alludevano proprio a questa possibilità già da giorni.
MA IL SILENZIO PESANTE del ministro segnala una tensione che trapela anche dalle voci anonime che il Ministero fa filtrare in giornata, come risposta alla carica dei partiti di maggioranza. Nessuno, dicono da via XX settembre, vuol puntare i piedi sugli 80 euro facendone una questione di principio. Al contrario, di interventi possibili ce ne sono tanti. Però «bisogna prendere delle decisioni». Però di «decisioni» capaci di coniugare le ragioni del bilancio con quelle della politica e del consenso non ce ne sono affatto tante. Al momento, comunque, non ne è stata individuata nessuna.
Il nodo non è politico ma aritmetico: una manovra che partirà da 22 miliardi sempre che tutto vada per il meglio e che ne deve aggiungere altri per lanciare il reddito di cittadinanza, la Flat Tax e la modifica della legge Fornero da qualche parte le coperture deve trovarle. Però non può essere una via che faccia a pugni con le ragioni della propaganda e del consenso. Se anche si mettesse mano al regalo di Renzi, come è ancora possibile per motivi strettamente tecnici, sarebbe solo una partita di giro.
Quei mille euro all’anno verrebbero restituiti con apposite detrazioni. «È molto meglio avere una riduzione strutturale delle tasse piuttosto che un bonus sempre appeso», si lascia aperto uno spiraglio il viceministro dell’Economia Garavaglia, leghista.
SI È DUNQUE RIPETUTO IERI un copione già visto più volte in questi mesi. Di fronte ai tentativi di Tria di limitare le ambizioni della maggioranza e di evitare ogni rischio di conflitto con Bruxelles, Lega e 5S fanno muro e la stessa situazione si ripeterà nelle prossime seettimane. L’idea di eliminare il bonus di 80 euro era parte di un progetto a più ampio respiro: un intervento di «riordino delle Tax Expenditures», come si dice in gergo neutro ma che in concreto significa una falcidie dei bonus fiscali. Secondo uno studio del Mef pesano, nel complesso, per 54 mld l’anno. Solo che falciare le Tax Expenditures, incluse le detrazioni, significa giocoforza «mettere le mani in tasca agli italiani». Discorso appena un po’ diverso rischia di applicarsi alla seconda via individuata nel vertice, una drastica spending review applicata ai ministeri. Sottratte alla lista le spese per sanità, scuola e istruzione, tagli anche questi ad altissimo tasso di impopolarità, passare dalle parole ai fatti diventa non solo difficile ma anche di incerti risultati.
LE CIFRE DELLA LEGGE di bilancio, così, restano tutte in bianco. A meno di guizzi nelle prossime settimane, la partita, alla fine, si giocherà tra Roma e Bruxelles. Perché sarà la Ue a dover ammettere gli investimenti coperti dal surplus commerciale proposta dal ministro Paolo Savona come a dover concedere nuovi margini di flessibilità. Ma non è affatto escluso che Bruxelles si troverà di fronte anche la richiesta di sterilizzare l’aumento dell’Iva in deficit.
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