Destre nella palude. La pace è sulla carta, tutto il resto è rinvio
Politica «Totale sintonia su tutti i dossier», dice un comunicato preparato prima dell’incontro. Ma una «svista» rivela le distanze sull’Ucraina
Politica «Totale sintonia su tutti i dossier», dice un comunicato preparato prima dell’incontro. Ma una «svista» rivela le distanze sull’Ucraina
Il comunicato conclusivo di un vertice di maggioranza tanto atteso quanto lungo, tre ore buone con i tre leader più Maurizio Lupi intorno al tavolo, è di quelli che si potrebbero scrivere alla vigilia e poi diffondere senza cambiare niente. Il summit non era convocato per chiarire e dipanare ma per chiudere, almeno ufficialmente, la guerriglia estiva. Questo e solo questo voleva la premier e questo è stato. Ecco dunque le varie e troppo ripetute attestazioni di granitica unità, indefessa determinazione nell’arrivare a fine legislatura portando a termine riforme e programma, addirittura «totale sintonia su tutti i dossier a partire dalla politica estera». Su un solo punto la premier, nella prolusione introduttiva, è tassativa: «Basta insistere con richieste impossibile in manovra come quota 41 o le pensioni minime a mille euro. Così si illudono i cittadini». E l’inevitabile delusione diventa un boomerang.
È Meloni stessa a dettare i tre punti credibili in una legge di bilancio «seria ed equilibrata»: «Taglio delle tasse, sostegno a giovani, natalità e famiglie, interventi per le imprese che assumono». Di pensioni non si parla.
Tajani, che prima del vertice aveva riunito lo stato maggiore azzurro, arriva combattivo. Non su qualche singola questione ma in generale. Rivendica il suo ruolo centrale nella trattativa sin qui vincente sulle deleghe per il commissario Fitto, la cui indicazione il Consiglio dei ministri ufficializzerà subito dopo il vertice. Reclama quella postazione centrale che il compagno di eurogruppo Weber, presidente del Ppe, già gli riconosce parlando senza mezzi termini di «governo Meloni-Tajani». Nel merito però il leader azzurro non si sottrae all’imperativo della premier: dal vertice bisogna uscire sbandierando una ritrovata unità. Anche a costo di una inaudita reticenza, di una conclusione che fa leva solo sulla vaghezza e più spesso sul rinvio.
L’INCIDENTE si verifica proprio sul punto su cui è d’obbligo glissare per quanto possibile, la guerra in Ucraina. La Lega diffonde una versione del comunicato che al canonico «appoggio a Kiev» accosta il no «a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini». La correzione arriva a stretto giro. Per errore sarebbe stata inviata una versione del comunicato non definitiva.
Ma la diversità, sottolinea il Carroccio, è solo «nello stile» non nei contenuti. Forse è stata realmente una svista dato che tutti i partiti erano arrivati con la loro brava bozza di comunicato. Forse invece la Lega ha trovato modo per far emergere il succo dell’accordo di maggioranza che coincide con il comunicato versione via Bellerio, tanto che la stessa posizione ha assunto Tajani nella sua veste di ministro degli Esteri. Ma metterlo nero su bianco in modo tanto fragoroso era nell’interesse della Lega, certo non della premier. Soprattutto in una fase di trattativa europea delicato come questo.
SU TUTTO IL RESTO il mezzo per rivendicare piena sintonia sui dossier è il rinvio. La Rai? Piano, bisogna studiare compensazioni per la Lega e dialogare con l’oppposizione che altrimenti è in grado di bloccare tutto. Le candidature per le regionali? Ne parliamo un’altra volta. Le concessioni balneari? C’è una trattativa con la Ue in corso. Vedremo. Lo Ius Scholae, sul quale Tajani non solo insiste ma promette disegno di legge? Quando arriverà lo si discuterà tutti insieme. L’autonomia, vera mina vagante a rischio di deflagrazione? Non c’è bisogno di forzare la mano, come ha fatto, sbagliando, Zaia, che ha chiesto subito l’attribuzione delle materie non soggette ai Lep. C’è tempo. I ministeri si devono pronunciare, incluso quello guidato da Tajani. Le cose andranno per le lunghe e quanto alle materie subordinate al finanziamento dei Lep per le lunghissime.
Dopo la riunione del Consiglio la premier dichiara a raffica, occupa le agenzie di stampa. Ma anche lei, come il comunicato, dice pochissimo, non va oltre la solita rivendicazione dei successi ottenuti e la sloganistica spinta, sul tipo «la stagione dei bonus e dei soldi buttati dalla finestra è finita». Del resto anche sull’unico capitolo sul quale qualche punto fisso è stato messo, la manovra, resta in sospeso la voce più importante e potenzialmente più dolorosa, quella delle coperture. In fin dei conti, l’unica emozione, in un vertice tanto prevedibile quanto inutile, è stato lo shock per la notizia falsa della morte di Umberto Bossi, che ha spinto Salvini ad abbandonare di corsa il summit per chiamare il senatur e poi rassicurare tutti. Il resto è palude.
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