In tempi in cui la sceneggiatura è una forma di ossessione, se non quasi una dittatura, dove solo il plot, lo script, i dialoghi, l’azione contano, c’è ancora chi, ostinatamente, si prende la libertà di credere nelle immagini, nel paesaggio, nei volti degli attori e nelle atmosfere. E solo attorno a quelle, con piena fiducia, costruisce un film. Per giunta (ma non è una regola) girando in sedici millimetri, lasciando intatte le imperfezioni, la polvere, desaturando al massimo il colore alla ricerca di un senso di evanescenza. Provando a costruire un universo, un immaginario. Facendo, insomma, del cinema. Per la...