Il decreto legge sull’agricoltura del ministro, e primo cognato d’Italia, Francesco Lollobrigida non passa al vaglio della presidenza della Repubblica. Non lo fa, almeno, con il testo che è stato votato lunedì sera, durante un serratissimo Consiglio dei ministri, al termine di un braccio di ferro tra il cognato di Giorgia Meloni e il titolare dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin di Forza Italia.

La bomba, anticipata ieri mattina dal Foglio, è stata confermata dall’ufficio stampa del Quirinale, che segnalava interlocuzioni ancora in corso tra i due uffici legislativi. Spiega Agra Press, che dà conto della fonte quirinalizia, che «ancora non sono noti i punti sui quali sembra siano state rilevate criticità». E anche se Lollobrigida vuole apparire tranquillo («le interlocuzioni sono sempre ben accette tra i diversi livelli istituzionali, c’è ovviamente – ognuno per la propria competenza – il dovere e la necessità di ragionare su quali siano gli strumenti, gli elementi che possono essere utili a migliorare un provvedimento o semplicemente un percorso più idoneo per garantire alcuni obiettivi che un governo si deve porre attraverso il dibattito interno» ha detto il ministro in un punto stampa a margine di un’iniziativa elettorale a Gizzeria, in Calabria), senz’altro lo smacco subito su un provvedimento tanto cercato non è un buffetto.

Il Colle avrebbe espresso dei dubbi su alcune parti del provvedimento che non rispetterebbero i requisiti di necessità e urgenza, che Lollobrigida ha rispedito al mittente, sottolineando che «quando c’è una criticità c’è sempre il requisito di urgenza, specie se si tratta di provvedimenti che riguardano un settore strategico come l’agricoltura». In particolare, secondo il Foglio, le problematicità riguardano l’accorpamento della società Sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell’agricoltura nell’Agenzia per le erogazioni in Agricoltura, cioè l’Agea, e la trasformazione del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri.
Un pericolo relativo a quest’ultimo aspetto era stato segnalato da Legambiente, che aveva parlato di «smantellamento» per un corpo che «in tutte le sue articolazioni, rappresenta unitariamente la più importante polizia ambientale a livello internazionale».

Secondo l’associazione, «spezzettarla tra diversi ministeri, trasferendola in larga parte al ministero dell’Agricoltura e lasciando a quello dell’Ambiente la dipendenza del solo Comando Tutela Ambientale e Sicurezza Energetica, come avverrà se venisse approvato il decreto, è un grave errore». Secondo il Foglio, poi, lo staff del presidente della Repubblica Mattarella avrebbe sottolineato alcuni passaggi del decreto relativi allo stop ai pannelli fotovoltaici, senz’altro l’aspetto più controverso dell’intero decreto e quello su cui si è consumato lo scontro più aspro tra i due ministeri coinvolti.

L’Alleanza per il fotovoltaico ha approfittato dell’impasse per spronare Mattarella: «Lanciamo un appello al governo e alle istituzioni affinché si valutino con attenzione i recenti interventi legislativi che stanno mettendo a rischio la transizione energetica, arrivando addirittura a bloccarla. Il governo ha, infatti, costruito una contrapposizione strumentale e nella realtà inesistente tra l’agricoltura e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Si tratta invece di due elementi complementari e quindi perfettamente compatibili. Anzi, possono e devono procedere in simbiosi».