Debito, guerra sociale e Giubileo
Le votazioni europee ci consegnano una situazione in rapido mutamento, ma, comunque vada, la guerra sarà lo scenario dirompente. Esiste, però, una guerra sociale che si fa con le armi finanziarie ed in particolare con il debito. È di questi giorni una notizia che non lascia dubbi: ogni cittadino del mondo ha un debito di circa 39mila dollari e, a livello mondiale, il debito globale (compresi i prestiti di famiglie, imprese e governi) raggiungerà i 315mila miliardi di dollari nel 2024.
Si tratta di tre volte il Prodotto interno lordo (Pil) planetario. A livello globale, il debito pubblico ha registrato una forte impennata: 97mila miliardi di dollari nel 2023, con un aumento di 5.600 miliardi di dollari rispetto al 2022. I Paesi poveri rappresentano il 30% del debito globale totale. Ma il tasso di crescita del debito dei Paesi poveri è doppio rispetto a quello degli altri Paesi.
Ma a chi è in mano il debito globale? Sul totale il debito delle famiglie ammonta a 59,1 trilioni di dollari, quello delle imprese a 164,5 trilioni di dollari e quello pubblico (prestiti dei governi) a 91,4 trilioni di dollari. Il livello del debito pubblico mondiale non solo ha raggiunto un livello storico, ma minaccia anche gli investimenti in sanità ed istruzione in tutto il mondo, in particolare in quelli più poveri. Secondo l’ultima valutazione delle Nazioni Unite, nel 2023 i Paesi poveri spenderanno 847 miliardi di dollari per il pagamento degli interessi. Si tratta di un aumento del 21% rispetto al 2021.
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Conti pubblici in rosso. L’Italia entra nel tunnel della nuova austeritàPer questi Paesi, anche il tasso di interesse è più alto, fino a quattro volte quello degli Stati Uniti. Questo si riflette sui bilanci. Ad esempio, il numero di Paesi africani con un rapporto debito/PIL superiore al 60% è passato da 6 a 27 nel periodo 2013-2023. Circa 27 Paesi africani destinano il 10% dei fondi governativi solo al pagamento degli interessi sul debito.
Secondo la valutazione delle Nazioni Unite, circa 3,3 miliardi di persone risiedono attualmente in Paesi in cui il pagamento degli interessi sul debito supera la spesa per l’istruzione o la sanità. In Africa, la spesa pro capite per gli interessi è di 70 dollari, superiore ai 60 dollari pro capite per l’istruzione e ai 39 dollari per la sanità. A lanciare l’allarme sul debito mondiale un nuovo rapporto di valutazione intitolato A world of debt 2024: A growing burden to global prosperity, secondo il quale il livello del debito pubblico non solo ha raggiunto un livello storico, ma minaccia anche la spesa per lo sviluppo dei Paesi, in particolare di quelli poveri.
Tra coloro che lanciano l’allarme oltre all’Institute of International Finance anche papa Francesco, che chiede di cancellare o almeno ridurre il debito estero dei Paesi più poveri in occasione dell’Anno Santo ormai imminente (Giubileo 2025). Lo aveva già scritto nella Bolla di indizione dello scorso 9 maggio, Spes non confundit. È tornato ad auspicarlo, ricevendo i partecipanti al seminario «Affrontare la crisi del debito nel Sud del mondo», promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze. In particolare Francesco chiede di pensare a «una nuova architettura finanziaria internazionale che sia audace e creativa».
Secondo il Pontefice, «per cercare di spezzare il ciclo finanziamento-debito sarebbe necessaria la creazione di un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull’armonia dei popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali. L’assenza di questo meccanismo – ha sottolineato – favorisce il ‘si salvi chi può, laddove a perdere sono sempre i più deboli».
Questo è frutto anche di «una globalizzazione mal gestita, dopo la pandemia e le guerre», ha affermato il Pontefice. Perciò «ci troviamo di fronte a una crisi del debito che colpisce soprattutto i Paesi del Sud del mondo, generando miseria e angoscia, e privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso. Di conseguenza, nessun governo può esigere moralmente che il suo popolo soffra di privazioni incompatibili con la dignità umana».
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