Fra i segnali del colpevole quanto completo disinteresse degli adulti nel decifrare gli umori dei giovani post pandemici c’è la sommaria condanna per le rivolte che scuotono la Francia, simile a quella verso qualsiasi altro movimento giovanile di opposizione contemporanea.

Una condanna che finisce col distrarre dal più necessario sguardo verso la generazione post pandemica, rimarcato anche dalla previsione di scontri fra generazioni contenuta nel report del World Economic Forum del 2021. Per riuscire a osservare i giovani pandemici può essere utile procedere come per lo studio dei buchi neri, non visibili attraverso l’osservazione diretta, ma attraverso le loro interazioni gravitazionali con altri corpi celesti, che per i diciottenni sono le interazioni fra creazione sottoculturale e ambiente culturale.

La musica è un elemento primario, se non il primario, delle sottoculture giovanili. Dal clubbing, ai concerti, ai videogiochi, allo streaming su piattaforme come Spotify e YouTube – che Hosokawa ha definito la forma di ascolto autonoma e mobile – la musica è un elemento onnipresente nel quotidiano giovanile. Sono i giovani a produrre la musica, sono loro ad abitarla cristallizzandola nella colonna sonora del presente di una epoca. La musica dance, per immediatezza (minima distanza temporale fra creazione e diffusione) e disintermediazione (completa assenza di testi che mediano un messaggio), riporta in tempo reale gli stati d’animo delle generazioni più giovani. Nel ballo scontorna l’uso del corpo che cambia in una vasta gamma di contesti che vanno dall’incollare la propria mano ad un’opera d’arte, all’assaltare i negozi del lusso, dal vandalizzare la città, al radunarsi in party clandestini ballando ritmi accelerati.

FRUSTRAZIONE

Il ritmo della dance ballata dalla gioventù pandemica è diventato improvvisamente più veloce, in un’accelerazione che è il risultato di un glitch generazionale e che rappresenta una di quelle interazioni gravitazionali che rende osservabile questa generazione in modo indiretto. Gli attuali diciottenni, che nel 2020 avevano 15/16 anni, accomunati dall’aver vissuto un evento talmente importante da aver cambiato il loro modo di sentire e vivere, alla riapertura del locali hanno avuto bisogno di ballare su ritmi accelerati rispetto a quelli pre-pandemia.

La variazione della velocità del ritmo a cui si balla accompagna da sempre la storia della dance, ma non avviene in modo così repentino. L’ultima grande accelerazione del ritmo della dance, alimentata dall’euforia per l’approssimarsi della fine del Novecento, finiva nei primi anni Duemila. Dagli inizi degli anni Novanta il ritmo ballato dai giovani di tutto il mondo era andato via via accelerando in modo costante. L’inconsapevole (o no?) titolo dei Daft Punk Harder, Better, Faster, Stronger nel 2001 riassume il mood dei club all’inizio del nuovo millennio, scavallato il quale il ritmo della dance aveva iniziato a rallentare, come per reazione alla delusione post euforia da fine millennio. Nascevano musiche dance lente come l’afrocaraibica e londinese dubstep e l’asciutta berlinese minimal techno. Questo perché la velocità dei bpm (battute al minuto) della musica dance è profondamente connessa con l’immediatezza dei sentori giovanili.

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La recentissima accelerazione dei ritmi della dance, invece, è stata diversa. Non una progressione come quella della fine del secolo scorso, ma un balzo che coincide con il balzo che la generazione pandemica ha fatto nell’esperienza del ballo. Una generazione che era troppo giovane per andare a ballare prima della pandemia e che, quando ha raggiunto l’età giusta, non ha potuto ballare (in modo legale) a causa della chiusura dei locali.
Ma non c’è solo l’impossibilità di andare a ballare dietro l’accelerazione di ritmi. C’è anche il rilascio dell’energia e frustrazione di teenager chiusi in casa per mesi con i genitori. C’è la privazione del contatto fisico e quindi il venir meno dell’importanza dell’elemento sensuale del groove, totem della cultura dance. C’è l’azzeramento della tradizione perché la fine della pandemia corrisponde, per una generazione che a causa del lockdown non è mai entrata in un locale, all’anno zero del clubbing il cui paradigma è l’accelerazione iperenergetica. Sintomatica è la definizione usata nella scena per descrivere lo stile dei dj, legata ai bpm, alla velocità ritmica della musica che suonano e non più al tipo di musica che suonano. Si parla di dj da 140 bpm (la disco music ha un ritmo fra i 110 e i 125 bpm) o dj che suonano a 200 bpm.

Smontato il mito del groove pilastro della dj culture, la techno afroamericana delle origini è lontana. I dj europei ora sostituiscono il punk al funk, l’energia al groove. La distanza fra cultura rave britannica delle origini e quella seguente mitteleuropea sembra rimarcata. Il berlinese e bianco HÖR, un minuscolo studio di Kreuzberg nel quale durante la pandemia i dj andavano a suonare mandando in streaming i loro set, nella cultura dei giovani pandemici ha preso il posto del nero e londinese Boiler Room (iniziatore nel 2010 dei dj set trasmessi in streaming video e considerato ormai vecchio ed emblematico di una generazione precedente). Raccogliendo milioni di stream, HÖR ha aiutato la scena locale e dato forma all’identità sonora di una nuova generazione di dj e raver in lockdown.

In questo revival in qualche modo iper-contemporaneo e anti-nostalgico operato dalla Gen Z riprendendo la cultura rave europea degli anni Novanta, la spinta politica e la protesta sono assenti. I giovani post pandemici vivono in tempi completamente diversi anche se non meno pressanti. Tempi nei quali, tuttavia, i modi per opporsi offerti dalla platform society sono più incisivi di quanto lo fosse una festa illegale degli anni Novanta. Eppure, svuotata dell’originalità e della forza disruptiva, l’estetica rave culture è in pieno ritorno con i suoi bpm accelerati e la dissoluzione dei generi musicali. Rimane la rivendicazione della libertà di essere (più sessuale, di genere e culturale), ma la musica un tempo innovativa, mai sentita prima, oggi è revival musicalmente innocuo.

SENZA PAUSA

Nei video dei dj set andati in onda dallo studio berlinese HÖR durante i lockdown, il pubblico che negli streaming di Boiler Room circonda e abbraccia i dj mentre suonano, scompare. I dj ora appaiono on line da soli, isolati. Suonano in un lockdown arredato da gelide mattonelle bianche di un non luogo che potrebbe essere il bagno di un locale come immaginato da una generazione alla quale è stata negata la possibilità di entrare fisicamente in un locale.

La nuova giovanissima scena dance accelerata, in nome della velocità del ritmo è ontologicamente cross genere e mischia tekno velocissima a jungle classica, beat rave mitteleuropei a campionamenti oscuri, cassa dritta e ritmi spezzati. L’importante qui e ora non è il genere ma il ritmo, così veloce da non concedere alcuna pausa nell’assalto sonico al corpo, per dimenticarsi di sé e diventare carne felice. Un tekno accelerazionismo che profetizza, in alcuni casi, il desiderio di agonia del ritmo, la ricerca di massima implosione noise. McKenzie Wark nel suo libro Raving, appena pubblicato in Italia da Nero, cita Hannah Baer (autrice di Trans Girl Suicide Museum) nella descrizione di un rave a 200 bpm: «La musica sembra un motore a reazione, un martello pneumatico, una mitragliatrice». Tutto molto lontano dall’esaltazione dionisiaca e sensuale del corpo attraverso il ritmo che ha innescato la nascita della disco, della house e della musica dance tutta, come lontanissimi sono gli anni nei quali pandemia non era una parola di uso quotidiano e, soprattutto, non era il termine che oggi caratterizza una generazione.