A partire dal 1948 una legge che permetteva agli abitanti delle colonie inglesi nei Caraibi di stabilirsi e lavorare nel Regno Unito, diede inizio a un flusso migratorio incoraggiato dalla Corona per colmare la carenza di manodopera di cui soffriva la Mother Country nel dopoguerra. Nel giugno del 1948 attraccò ai Tilbury Docks di Londra la Empire Windrush con a bordo persone provenienti da Giamaica, Trinidad e Tobago e altre isole caraibiche. Quei lavoratori che emigravano verso l’Inghilterra, molti dei quali bambini, formarono la Windrush Generation che, in cambio del contributo alla ricostruzione post Seconda guerra mondiale, ebbe discriminazione e razzismo. Mentre nel 1971 le leggi sull’immigrazione furono cambiate interrompendo di fatto quel flusso migratorio, ma non i suoi effetti, i quali, nel corso degli anni sarebbero germogliati nel primo sistema culturale e artistico nero nativo d’Europa, oggi la questione si ripresenta con chi fugge dalle guerre e arriva via mare, con mezzi di fortuna, nella terra di Albione, rischiando di essere, grazie alla contestatissima legge anti-migranti voluta dal governo conservatore del primo ministro Rishi Sunak, peraltro proveniente egli stesso da una famiglia di immigrati, rispediti nei loro paesi di origine senza avere la possibilità di fare domanda di asilo.

La Empire Windrush arriva in Inghilterra (Contraband Collection/Alamy Images)

NOTTING HILL CARNIVAL

Ma torniamo alla Windrush Generation. Dal 1966 il Notting Hill Carnival ogni anno omaggia la cultura della comunità afrocaraibica britannica figlia di quelle migrazione di massa, riempiendo di musica le strade di Londra. Verso la fine degli anni Ottanta a quella celebrazione, inizialmente molto militante e poco accogliente nei confronti della cultura bianca, iniziava ad affiancarsi una nuova forma di festa, nata dalla fusione tra la cultura dei giovani della Windrush Generation e quella dei giovani bianchi inglesi. Nascevano i rave, la scintilla che avrebbe incendiato i giovani in tutta Europa con un impatto dai molteplici effetti, tutt’ora visibili in tante dimensioni della cultura contemporanea. Il ruolo della Windrush Generation nella nascita della «rave culture» è poco raccontato, eppure almeno tre elementi di tradizione afrocaraibica sono stati indispensabili nel dare origine e forma a quella cultura.

Il primo elemento è musicale: la musica afrocaraibica fatta di soca, calypso, mento e reggae, fondendosi in modo quasi naturale con i ritmi dance di matrice afroamericana che arrivavano dal nord degli Stati Uniti, come l’acid house e la techno, ha generato il panorama musicale poliritmico caratteristico dei primi anni dei rave. Il secondo elemento è tecnico ed è rappresentato dai sound system mobili: impianti di amplificazione enormi mutuati dalla tradizione reggae che venivano disposti in modo frontale al pubblico e che era possibile montare e smontare rapidamente, giusto prima che la polizia arrivasse a sgombrare e sequestrare tutto. Il terzo elemento è culturale e ha a che fare con la visione del ballo come atto di resistenza e di lotta.

Nella cultura afrocaraibica (come in altre culture africane e non solo) il ballo è un mezzo di commento e denuncia sociale, di protesta contro l’oppressione dei più deboli e dei più poveri. Un gesto di militanza che la Windrush Generation usava contro il razzismo e la violenza di cui era vittima da quando era sbarcata nel Regno Unito. Quel ballare e fare festa era l’elemento distintivo del Notting Hill Carnival di Londra ed era passato a una nuova generazione di discendenza afrocaraibica che a sua volta lo aveva iniettato nella nascente rave culture.

All’inizio degli anni Ottanta venivano organizzate feste illegali nei luoghi lasciati vuoti dalla trasformazione post-industriale delle città. Erano feste a base di funk e soul nelle quali bianchi, afrocaraibici, omosessuali, anarchici, artisti e spacciatori ballavano spalla a spalla sciogliendo confini etnici, di genere e di classe. Accanto alla musica scorrevano varie droghe: LSD, marijuana e hashish. Un lustro più tardi, una musica mai sentita prima, totalmente nuova era stata il reagente per la trasformazione di quelle feste in rave. Era una musica arrivata nel Regno Unito in modo quasi fortuito attraverso un canale di importazione di dischi che da Detroit conduceva in Inghilterra e che oltre al funk e al soul trasportava anche i primi dischi di quella nuova musica, la techno. Da quel momento il suono della techno, dell’acid house e delle produzioni inglesi, trasformava i rave in un vero e proprio mezzo di trasporto verso il futuro.

IL RITO DEL «SÌ»

Per una generazione di giovani, per motivi biologici/anagrafici sensibili alle sollecitazioni dell’avanguardia, la nascita dei rave ha rappresento l’avvio della corsa verso il futuro. La partenza del conto alla rovescia verso l’anno Duemila, quella data simbolica che film, fumetti e libri avevano reso sinonimo di odissee nello spazio, viaggi cosmici e di una nuova era per l’uomo. I primi rave party, per i giovani inglesi, erano la festa d’ingresso nell’ultimo decennio del Novecento, l’accesso nel futuro. Una festa che non sarebbe dovuta finire mai, anche grazie all’elemento di chimica prestazionale contenuto nell’ecstasy, la droga dell’amore e dell’armonia. Una festa accompagnata dai ritmi afroamericani di acid house e techno mischiati ai suoni afrocaraibici della Windrush Generation. Tutti ritmi forwardisti, suoni mai sentiti prima, il cui sviluppo era agganciato al progresso tecnologico e al confine avanzato del presente, ideale colonna sonora del futuro. Musiche afroamericane che, approdate in Inghilterra ed entrate in contatto con la tradizione ritmica afrocaraibica, avevano generato il suono multi-ritmico di una generazione.

La musica dance è l’unico genere musicale dal nome funzionale, che ha, cioè, nel nome lo scopo per cui è nato: ballare. Si tratta di musica creata per essere ballata nelle discoteche, la quale, tracimata dalla forma canzone della disco music degli anni Settanta, nel decennio successivo, con la nascita della house diventa musica strumentale, da ballare tutta la notte durante le feste in cui si celebra il.

, è vero, il mondo è duro, non mi accoglie, ma il mio posto è nella pista da ballo. , la società non mi vede, non esisto perché sono diverso dagli altri, ma esisto quando ballo e sudo con persone simili a me, mentre ci divertiamo insieme ballando. La mia reazione alla frustrazione è fare festa insieme a persone che neanche conosco, ma che come me reagiscono alla pressione della cultura dominante e ostile pronunciando e ballando un sonoro .

Se il rock alza il dito medio contro il mondo, strilla «fanculo al sistema!», urla «NO!» usando le parole nei testi delle canzoni, la musica dance utilizzando solamente il suono, pronuncia un sorridente . Pieno di amore. Un accogliente, universale, sovranazionale, inclusivo. Festoso, ma foriero di un messaggio di resistenza. I rave party dei primi anni sono feste sorridenti. Sono notti nei capannoni degli insonni passate a celebrare il militante, quel modo della tradizione afrocaraibica di resistenza attraverso il ballo. La musica dance è musica nata dalla cultura afroamericana che reagiva alla pressione della vita di tutti i giorni festeggiando la vita stessa tutte le notti. Attraversato l’oceano, in un continuum musicale cross Atlantico, quella musica era stata accolta nel Regno Unito e impastata con la cultura afrocaraibica della Windrush Generation fino a creare la musica ballata nei primi rave, la colonna sonora di una intera generazione di giovani inglesi prima ed europei dopo. Ma c’è di più: quel continuum cross Atlantico estromesso, come vedremo, dalla cultura rave, creerà l’unico genere musicale nero nato nel Vecchio Continente. Un suono patriottico, British e inedito che dall’acid jazz e la jungle ha continuato a germogliare ben oltre la scena rave influenzando nei decenni successivi la musica e la cultura britannica.

Esiste quindi un ruolo dei giovani afrocaraibici nella storia dei rave, soprattutto durante i suoi primi anni. Anni nei quali una sottocultura fortemente antagonista che radunava migliaia di giovani di diverse classi sociali, orientamento sessuale e provenienza etnica, è diventata occasione di espressione di sé e creazione di senso di appartenenza per molti giovani della Windrush Generation, che spesso si trovavano in situazioni di marginalizzazione e discriminazione nella società britannica. Dj afrocaraibici suonavano durante i rave spesso producendo musica e ibridando i ritmi ottimisti della musica soca con quelli dell’acid house; il reggae con i breakbeat dell’hip hop, la lunga tradizione di commento sociale e politico del calypso con il rap. Era proprio questo uso politico dei ritmi (quel alternativo al NO confrontazionale del rock) a risuonare perfettamente con l’anti Thatcherismo della nascente scena rave. Scena che, seguendo la scia delle feste che avevano caratterizzato la socialità della comunità nera di Londra dall’inizio degli anni Ottanta (organizzate prima dell’arrivo della house e della techno), ora si riuniva in party clandestini che rompevano le geografie sociali di Londra e del Regno Unito. Si formavano gruppi di giovani di genere ed etnie varie che approfittavano della morte delle industrie per appropriarsi delle loro carcasse. Per i ragazzi inglesi bianchi e di discendenza afrocaraibica era una forma di resistenza contro la cultura mainstream dominante, che diventava un rigenerativo e creatore di subcultura illegale d’avanguardia. Proprio l’illegalità univa i bianchi inglesi con gli inglesi di discendenza caraibica. Rappresentava per i primi una forma di resistenza economica contro il Thatcherismo, (perché gli eventi clandestini non erano soggetti a tasse o leggi e quindi sfuggivano alle politiche economiche oppressive liberiste) e per i secondi una forma di sollievo dalle pressioni razziali e socioeconomiche.

CAMBIAMENTO RADICALE

La storia d’amore fra gli eredi della Windrush e la cultura rave però non è durata molto. La presenza di neri britannici nella scena rave aveva contribuito a creare un ambiente inclusivo, poliritmico e multiculturale, modificando i confini della società britannica. Una zona fertile di indipendenza culturale e artistica era lo spazio temporaneo nel quale le persone potevano incontrarsi e celebrare il nel ballo, il loro amore per la musica e la resistenza al sistema. Questa diversità frastagliata di suoni e culture era stato il motivo per la presenza della comunità afrocaraibica britannica nella «rave culture», in un equilibrio chimico instabile fra musica, droga, militanza e ibridazione culturale così precario da entrare presto in crisi, portando allo sbiancamento della scena, all’uscita cioè della cultura black British dai rave.

Preceduto da diversi tentativi di legiferare per spegnere la «rave culture», nel 1994 il Policing and Crime Act introdusse la possibilità per gli organizzatori di richiedere una licenza per organizzare rave all’aperto. La legge non servì a fermare i rave illegali, ma innescò un cambiamento radicale della scena. Organizzatori in cerca del soldo iniziarono a creare feste sempre più grandi, gestite in modo imprenditoriale. La commercializzazione e il mainstreaming dei rave attirarono nuovo pubblico, soprattutto bianco e benestante, depotenziando allo stesso tempo i rave più underground e alternativi, nei quali la cultura della Windrush era ancora molto presente. Mentre crescevano le dimensioni dei rave (ormai) legali, cresceva il consumo di droga, spinto anche dall’aumento della velocità del ritmo della musica suonata dai dj, la cui accelerazione corrispondeva in modo direttamente proporzionale alla crescita della distanza con i groove di tradizione nera. La richiesta di droga aumentava mentre la qualità diminuiva, contribuendo anche a cambiare il mood della pista da ballo, che diventava sempre più testosteronico e aggressivo, molto lontano da quello dei primi anni, amoroso, sorridente e spruzzato di ecstasy. La droga diventava via via l’ingrediente cardine dei rave, tanto che anche la musica techno iniziava ad essere associata in modo inscindibile alla droga (con non poco rammarico da parte dei suoi creatori di Detroit).

IL GROOVE MIGLIORE

«L’ecstasy ha unito le persone nere, bianche, gialle e marroni come una sola. In ogni grande festa da ballo c’era un miscuglio di etnie che si tenevano per mano e si scambiavano amore e rispetto totale l’uno per l’altro. L’isteria suscitata dalle persone che andavano alle feste da ballo ha causato un’enorme ondata di energia positiva. La generazione E è diventata la generazione We. Stavamo facendo la storia».

Così Wayne Anthony promoter dei primi rave illegali, che la leggenda vuole ricercato contemporaneamente dai gangster locali e dalla polizia, racconta l’ecstasy durante i primi anni dei rave. Le feste del andavano avanti tutta la notte anche grazie all’ecstasy, contenuta in pasticche con incise faccine sorridenti. Da mezzo di trasporto verso livelli di coscienza e di empatia più alti, all’inizio degli anni Novanta, la droga era diventata il mezzo per liberarsi delle inibizioni, per lasciarsi trasportare, specialmente per i ragazzi bianchi meno a proprio agio con il ballo. Per i giovani neri, invece, la droga non era un elemento imprescindibile, anzi. Il groove e le endorfine rimanevano la droga migliore per i ragazzi afrocaraibici, la stessa droga dava energia durante quelle feste di funk e soul che avevano preceduto la nascita dei rave. Secondo la cultura della Windrush Generation era riprovevole farsi vedere strafatti, andare fuori controllo in pubblico. Sballarsi rappresentava una sorta di affronto culturale. Così, mentre l’ecstasy in quantità sempre maggiore e di qualità sempre peggiore diventava protagonista dei rave, la comunità black British era sempre meno a proprio agio.

Un ulteriore elemento stava causando lo sbiancamento della cultura rave: la sostituzione progressiva della musica di matrice afroamericana e afrocaraibica, quella poliritmica suonata durante i primi anni, con generi di dance mitteleuropei di matrice bianca, culturalmente molto lontana dal sole delle isole dei Caraibi. La techno hardcore (nei suoi vari sottogeneri), sbenzinata di droga di bassa qualità con i suoi ritmi ripetitivi e sempre più veloci, sostituiva l’energia del groove con l’aggressività del suono (anche mutuata dalla cultura punk/industrial europea). Più aggressivo prendeva il posto di più sexy. Era una musica dance bianca, testosteronica, nella quale il groove lasciava il posto alla furia sonica senza anima. I ritmi frastagliati, nati dalla fusione del mood piovoso inglese con quello solare caraibico venivano gradualmente estromessi, fino a quando, privati di un groove nel quale rappresentarsi, alienati dal massiccio uso di pessima droga, dall’omologazione del pubblico verso la classe media bianca inglese e dalle gestioni aziendali dei rave, gli eredi della Windrush uscirono progressivamente di scena. In un processo che qualcuno, forse estremizzando, ha descritto di appropriazione culturale, la scena rave si tingeva definitivamente di bianco, cristallizzandosi in un prodotto tutt’ora quasi esclusivamente frequentato da cultura bianca mitteleuropea.

Fuoruscita dai rave, una parte dei giovani afrocaraibici inglesi è stata attirata dal sorgere di una nuova generazione di sound system reggae britannici nei quali si sentiva a casa. Un’altra parte ha continuato a frequentare i club, partecipando alla nascita di un nuovo genere musicale, 100% made in England, 100% nuovo e naturale frutto di quella prolifera fusione fra cultura caraibica e bianca, sole e pioggia, iniziata alla fine degli anni Ottanta. Durante i primi anni Novanta nasceva la jungle e prendeva il via una successione continua di morti e rinascite musicali, di cambiamenti e adeguamenti culturali che avrebbero negli anni dato forma all’unica cultura musicale nera nativa d’Europa.

Un suono con al centro le frequenze del basso, che oggi frequenta con disinvoltura il confine fra pop e alternative, fra underground e mainstream, fra canzone e musica elettronica, rimanendo magicamente in grado di sorgere continuamente e rinnovarsi come solo le energie dell’underground permettono di fare. La cultura figlia della Windrush Generation combatte producendo cultura da decenni, esprimendosi attraverso un suono più che un genere musicale: la bass music, caratterizzata dall’attenzione verso un elemento preciso della musica, quelle basse frequenze mutuate dal reggae e da altre musiche dei Caraibi. Dalla nascita della rave culture, attraverso tutti i generi del continuum della bass music, reggae, jungle, drum and bass, UK garage, dubstep, grime, footwork e UK drill, l’inglesizzazione della cultura della Windrush Generation ha forgiano buona parte della musica finita nelle classifiche europee e statunitensi dalla fine degli anni Ottanta ad oggi.