Radio di comunità, radio art, street radio, radio di movimento, sono tante le possibilità aperte dalla trasmissione via internet, andate via via aumentando nel corso degli ultimi anni. Se le frequenze in FM subiscono un rigido controllo, la libertà «fuori» dalle onde radio è enorme, grazie alla semplicità dei mezzi e all’abbattimento delle barriere geografiche. Sul manifesto, ogni venerdì di agosto, ci immergeremo in una mappatura impossibile dell’arcipelago mutevole, effimero, emozionante delle web radio, in Italia e nel mondo.

Per farci un’immagine del panorama radiofonico odierno, potremmo prendere a prestito una coppia di concetti elaborati dai filosofi Deleuze e Guattari: c’è una radio «molare» e una «molecolare», una che è rigida, ben definita e controllata, e un’altra sfuggente, veloce, sempre sul punto di dissolversi. Ci riferiamo da un lato alla trasmissione in Fm e dall’altro alle stazioni operanti via internet, comunemente definite web radio. Un arcipelago, quest’ultimo, molto difficile da mappare proprio per la sua natura informale e per la forte frammentazione che lo caratterizza. In questo percorso in quattro puntate che abbiamo chiamato Fuori Onda, proprio perché ci muoveremo nel territorio «fuori» dalle onde radio, proveremo a tracciarne alcune caratteristiche, guardando da vicino alcuni degli esperimenti più interessanti che sono emersi in questi ultimi anni.

LA LIBERTÀ offerta dalla trasmissione via internet è enorme: chiunque, con i mezzi che abitualmente possediamo in questa parte di mondo e un po’ di buona volontà, può «farsi la propria web radio» – come quando si diceva: prendi una chitarra, suona tre accordi, forma un gruppo punk. Ecco quindi delinearsi uno spazio di libertà impensabile oggi all’interno delle stazioni radio Fm, che può prendere infinite forme: radio di comunità, radio art, street radio, radio di movimento, per citarne alcune tra quelle che vengono più sperimentate. Come scrive Marta Perrotta in Fare radio (Audino editore): «La rete, da subito, non rappresenta soltanto un sistema di trasmissione alternativo dal punto di vista tecnologico, ma uno strumento che allarga i confini di ciò che può essere definito “radio” dal punto di vista dei linguaggi, dei contenuti, delle forme, portando una serie di vantaggi per chi si vuole dedicare alla radiofonia: notevole abbattimento dei costi; deistituzionalizzazione della comunicazione rispetto all’emittenza tradizionale; regolamentazione più snella e meno vincolante dal punto di vista legale; potenziale accesso a un pubblico globale».
Secondo Deleuze e Guattari, la possibilità «molare» e quella «molecolare» sono in qualche modo sempre intrecciate. E infatti, come sappiamo, sono molte le stazioni radio «canoniche» che, oltre ad operare in Fm, hanno dei canali sul web per ampliare l’offerta. Ma non è ciò che ci interessa in questo percorso, in cui approfondiremo le realtà nate per esistere unicamente sulla rete.
Sembra che la prima trasmissione su web sia avvenuta nel ’93, si chiamava «Internet talk radio» ed era a cura dello studioso di tecnologia Carl Malamud, che ogni settimana intervistava un esperto di computer. Il primo concerto trasmesso su internet è stato invece quello della band rock californiana Severe Tire Damage, il 24 gennaio dello stesso anno. Tuttavia, è stata l’invenzione del formato di streaming RealAudio nel ’95, seguito poco dopo dalla piattaforma Microsoft Media Services, a rendere accessibile la tecnologia ai più, generando una “esplosione” del fenomeno web radio negli Usa. Almeno, fino ai primi anni 2000. Perché allora – corsi e ricorsi storici – è successo lì qualcosa di analogo a quanto accaduto da noi sulle frequenze in Fm in seguito alla famosa Legge Mammì del ’90, a seguito della quale chiusero i battenti circa il 70% delle emittenti radiofoniche in Italia.La nascita negli Stati uniti, la lotta per il copyright, Dab e podcast

NELL’OTTOBRE del ’98 il Congresso approva, negli Usa, il Digital Millennium Copyright Act, con il quale si afferma che anche le radio su web non commerciali devono pagare importanti diritti d’autore, contabilizzati sul numero di passaggi, per trasmettere brani musicali. Nonostante le proteste, nel 2001 avviene il dimezzamento delle web radio negli Usa, da circa 3000 a 1250. Un processo che, osservato ora a distanza di alcuni anni, potrebbe aver spinto allo sviluppo dei podcast, operando una distinzione piuttosto netta tra i due macro-contenuti che da sempre contraddistinguono la radio, la parola e il suono, con il relativo predominio della prima sul secondo. Come sappiamo – visto che ormai sono piuttosto diffusi anche da noi – i podcast sono dei contenuti registrati fruibili all’interno di libraries – ad esempio Audible – o di servizi di streaming – come Spotify, che ospita il controverso podcast più ascoltato d’America, The Joe Rogan Experience – o direttamente sui siti di giornali e gruppi editoriali. La caratteristica del podcast è quella di essere on demand: possono essere ascoltati in qualsiasi momento, anche a distanza di molto tempo rispetto quando è avvenuta la registrazione, che può «catturare» una diretta tanto quanto essere il risultato di un editing in post-produzione. Per una radio, web o tradizionale, la diretta è invece fondamentale, è quel momento «magico» e effimero in cui le energie si convogliano in qualcosa di non ripetibile, accostando la radio alle arti performative. Per un podcast il contenitore e il contesto sono quindi poco significativi, al contrario di quanto avviene per una web radio: ed è proprio la comunità, l’organizzazione che si genera intorno alla trasmissione ciò che ci interessa di più in questa sede per il senso politico di collettività che sottende.

La redazione consiglia:
Radio Alice, Dams e il movimento del ’77, un sogno rivoluzionarioIL DIGITALE, comunque, ha aperto anche altre strade. È il caso del DAB, il Digital Audio Broadcasting. Al pari del digitale terrestre per la tv, si tratta della trasmissione in digitale sulle onde radio. In diversi Paesi europei viene sperimentata già da molti anni, in Italia si procede molto lentamente, probabilmente perché nel momento in cui avverrà il famoso switch-off – ovvero, ancora come per la tv, verrà spenta la trasmissione analogica – molte più frequenze saranno disponibili. Infatti con il Dab, oltre ad ottenere una qualità del suono migliore, paragonabile a quella dei Cd, più segnali possono condividere lo stesso canale, abbattendo peraltro i costi di gestione. La resistenza, quindi, non stupisce: ai monopoli commerciali non farebbe probabilmente piacere ritrovarci di nuovo in un territorio «inesplorato» come quello degli anni ’70. Ecco perché, ed è paradossale, nonostante la tecnologia DAB+ sia obbligatoria per i veicoli immatricolati dopo il 2021 – e sul legame tra macchine e radio sarebbe da aprire un capitolo a parte – lo «switch off» in Italia per il momento non è previsto, lasciando centralità, di fatto, alla trasmissione in Fm.

l’ex quartier generale di Radio Nts a Londra

TORNANDO alla questione dei diritti musicali, in Italia e in Europa gli eventi si sono svolti in maniera un po’ diversa rispetto agli Usa. Con l’accordo di Londra del 2003, le organizzazioni discografiche hanno sancito la necessità di una licenza unica per trasmettere musica in streaming. Per chi volesse aprire oggi una web radio amatoriale in Italia, dunque senza scopi commerciali, e volesse trasmettere brani «protetti» dal diritto d’autore, dovrebbe versare una quota fissa annuale alla Siae di circa 500€ e un importo analogo per la Società Consortile Fonografici (Scf). C’è sempre, chiaramente, la possibilità di scegliere musica non protetta da copyright, e di adottare per i contenuti della radio licenze Creative Commons più in linea con lo spirito di condivisione di una radio web, in modo da non dover versare alcuna quota. Anche perché, tolti pochi esempi come la web radio britannica Nts, che arriva a contare un milione di utenti mensili, oppure quelle stazioni finanziate dalle università o da altre istituzioni culturali, in tutti gli altri casi quella di trasmettere online è un’attività che si fa gratuitamente, sulla base di una passione e di un’urgenza.

1 – Continua

Seconda puntata: Suona ancora. Un panorama frastagliato di vive voci