Dalla parte della libertà femminile, nel telaio del mito
Narrativa italiana «La trama di Elena» di Francesca Sensini, per Ponte alle Grazie
Narrativa italiana «La trama di Elena» di Francesca Sensini, per Ponte alle Grazie
Lo avesse scritto Roberto Bolaño avrebbe intitolato questo libro La parte di Elena, e sarebbe stato in grado di affidarle una voce, restituirle un racconto diverso, di farla parlare, di farla sovrastare il mito, di rovesciare addosso al mondo la sua bellezza, darne di quella storia – che leggiamo e ci sentiamo narrare addosso da millenni – una versione che oscilla tra sogno e incubo, sarebbe stato di certo un buon libro. Questo romanzo, La trama di Elena (Ponte alle Grazie, pp. 193, euro 15), però lo ha scritto Francesca Sensini facendone il memoir di Elena, il suono della voce di Elena, il canto di Elena che mostra la sua parte di storia, il suo punto di vista, che tesse la sua trama da sé. Elena «è un archetipo, un personaggio che si è fatto carico di noi e della nostra storia» scrive Sensini verso la fine del libro, spiegando la sua voglia di sedersi al suo fianco e di mettersi con lei al telaio, per tessere la trama di nuovo. Elena è persistente, secondo Sensini, ed è un fatto, e in questo romanzo leggiamo la sua versione dei fatti. Non raccontata da un uomo – importante variazione sul mito –, in fondo Bolaño se la sarebbe cavata ma sarebbe stato comunque un uomo.
ELENA RECLAMA una stanza tutta per sé nella quale disporre le cose secondo un nuovo ordine e gusto, una stanza con tante finestre, ognuna che affaccia su un pezzo di storia. Sulle donne, dall’invidia secolare di Clitemnestra a Penelope così diversa, da Leda e i suoi sogni a Andromaca che accetta tutto. E poi gli uomini osservati da lei, attraversati da lei, fatti un po’ a pezzi, amati ma un po’ meno, raccontati per quello che sono. Il filo della trama tessuta sull’antico telaio gioca con Sensini di sponda e rimbalzi per mostrarci le cose e cuce e inciampa, su Menelao, fra i capelli di Teseo, ora in Achille, ora nelle ciglia di Paride. Elena viaggia con Omero e lo sostituisce, lo riassume, gli fa l’analisi del periodo, e lo riporta con una nuova sintassi. Sono qui, ci sono sempre stata, ci sarò ancora, vuoi che non sappia come siano andate le cose?
Sensini ci riporta Elena in terra – ammesso che se ne sia mai andata – e fa sì che ponga agli occhi del lettore gli inganni del mito, gioca ma è serissima, solleva un orizzonte di contraddizioni, vuole sovvertire i ruoli, non vuole essere chiusa nella funzione di moglie, amante, figlia, ammette le sue debolezze, come quella verso Paride, ma sfida chiunque a sottrarsi all’influsso senza rimedio di Afrodita, «le forze sono impari», chiosa Elena, trascrive Sensini. Il mito ci affascina, ci sembra sempre nuovo e gli apparteniamo, eppure, qualcosa si sottrae. Il racconto mitologico è colmo di fantasia, accettarne una sola versione vuol dire che ammettiamo che l’inventiva si esaurisca e che tutti i personaggi – specie le donne – si sottomettano a ciò che ci viene tramandato da secoli. Francesca Sensini è stata molto brava a far parlare Elena in prima persona, portatrice di una lingua vivace, riflessiva e tagliente, e che sa porsi quesiti di questo tipo: «Se io e Paride siamo entrambi emissari di Zeus, di Némesi e pupilli di Afrodite, perché il mio fuoco dovrebbe essere più rovinoso del suo?». La guerra di Troia è davvero colpa sua? Elena pensa – e lo abbiamo imparato nel tempo rispetto a qualunque guerra venuta dopo – che una guerra ci sarebbe comunque stata, perché qualcuno aveva in mente di farla. Tutto qui. Il modo di amare di Elena che esce da queste pagine è luminoso, senza pretese, senza ossessioni, libero.
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