Cultura

Dal senso della «pietas» al lessico sessuato per ammirare l’intelligenza femminile

Dal senso della «pietas» al lessico sessuato per ammirare l’intelligenza femminileUn ritratto della poeta Biancamaria Frabotta nel 1998 a Roma – Michele Corleone

Il ritratto A fine maggio in libreria, il suo ultimo libro di poesie «Nessuno veda nessuno». Femminista, socia onoraria della Società italiana delle Letterate, militante dagli anni Settanta nel movimento delle donne, la sua antologia «Donne in poesia» è del 1976

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 4 maggio 2022

Nata sotto il segno dei Gemelli, l’11 giugno del ’46, Biancamaria Frabotta è stata non solo una delle più importanti, amate e fondamentali voci poetiche del Novecento e della contemporaneità, ma una Maestra impareggiabile. All’università La Sapienza studia con Walter Binni durante i turbolenti e fecondi anni Sessanta, laureandosi con una tesi su Carlo Cattaneo e nutrendo la curiosità che non l’ha mai abbandonata, da studiosa e da lettrice, da poeta e da intellettuale, per le creature tutte, umane e animali e celesti – a Cupi, nella campagna maremmana, passava lunghi felici periodi con l’adorato marito Brunello Tirozzi, invitando gli amici e indovinando gli uccelli dal loro canto, tra le opere degli amati Maria Lai e Toti Scialoja; poi di sera osservando le stelle per scorgere qualche costellazione.

I primi libri di poesia acquistati da ragazza portano già nei titoli il segno dell’attenzione di Frabotta verso un «lessico morale», verso una letteratura che non escluda il mondo della storia: Il giusto della vita di Mario Luzi e La storia delle vittime di Alfonso Gatto. Una poesia che continuamente si confronti con la realtà, pervasa da un profondo senso di pietas, capace di grandi slanci civili e di intimo canto familiare, è quella di Frabotta.

UNA POESIA che sia testimoniata dalla vita, un impegno a operare, come nella lezione di Franco Fortini, per la verità (con quanta convinzione Biancamaria Frabotta volle partecipare a un pomeriggio di letture, a Roma, per sostenere il lavoro delle ong per salvare i migranti in mare, e con quale apprensione seguiva i conflitti nel mondo, rendendosi voce limpida e onesta fino in fondo in occasioni pubbliche come in quelle private). La sua ampia seminagione poetica, inaugurata sotto il segno di Leopardi, si apre con la plaquette Affeminata, cui seguono libri di straordinaria importanza per la poesia italiana: da Il rumore bianco a La viandanza, da La pianta del pane a Da mani mortali, La materia prima e molti altri, tutti presenti nell’opera completa dei suoi lavori edita da Mondadori nel 2018. A fine maggio in libreria, il suo ultimo libro di poesie Nessuno veda nessuno.

Femminista, socia onoraria della Società italiana delle letterate, militante dagli anni Settanta nel Movimento delle Donne, Biancamaria Frabotta dedica alle voci femminili della scrittura l’antologia Donne in poesia nel ’76, nella quale per la prima volta e con lucidissima lungimiranza inserisce anche due allora esordienti come Vivian Lamarque e Patrizia Cavalli. Frabotta ha amato visceralmente l’intelligenza femminile, la voce poetica delle donne, Amelia Rosselli e Marina Cvetaeva su tutte; affascinata dalla riflessione sulle identità, mutevoli e deformate, nucleo del suo unico e prezioso romanzo Velocità di fuga, sapeva anche che una perenne decostruzione di sé porta all’afasia.

L’ATTIVITÀ CRITICA è sempre stata per Biancamaria Frabotta un terreno enormemente fertile per comprendere non solo l’opera altrui, ma la sua stessa poesia. Priva di qualunque ombra di pregiudizio, costitutivamente libera nell’esercizio della sua arte e nella vita, Frabotta è stata poeta dell’ascolto. Col medesimo appassionato rigore ha ascoltato e letto i suoi affermati colleghi come i giovani esordienti, incoraggiandone i talenti quando ne riconosceva uno. Poche cose accendevano il suo entusiasmo come lo scoprire un talento nascente, o il lavorare al tavolo della poesia quasi sotto dettatura della Musa.

Doppio temperamento, la natura dei Gemelli: serietà e ironia, dolcezza e rigore; e poi Civitavecchia della nascita e la Roma di sempre, la città e la campagna toscana, la vita ammaestrata e la natura inselvatichita di un libro come La pianta del pane, o la sosta e il viaggio della Viandanza. «Si scrive rimanendo al passo con la vita, o ci si ferma a un passo da essa».

All’università di Roma, da docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea, ha formato schiere di giovanissimi studenti che durante le sue lezioni hanno conosciuto e letto i poeti viventi, riscoprendosi talvolta poeti e scrittori, critici e insegnanti loro stessi. E, così facendo, la sua poesia non meno del suo magistero è andata tracciando, mentre disegnava una genealogia, una discendenza.

Creare incontri, mettere in dialogo è il grande dono dei poeti. Biancamaria Frabotta ha saputo, con l’intimità del suo insegnamento e il valore della refurtiva, tessere una comunità che attorno a lei si è sempre ritrovata, e che continuerà a trovarsi ancora negli «appunti che ad altri ho donato/ perché stagionale sia la quiescenza/ la dormiente speranza, la presenza».

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