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Dal Mes al Pnrr. Meloni a Bruxelles con un «pacchetto» pieno di guai

Dal Mes al Pnrr. Meloni a Bruxelles con un «pacchetto» pieno di guaiGiorgia Meloni a Bruxelles - foto Ap

Patto di stabilità La terza rata del Piano non si vede e la quarta rischia di non arrivare entro l’anno

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 giugno 2023

Mes, Patto di stabilità. Rialzo dei tassi, Pnrr: Giorgia Meloni deve vedersela con un poker di guai uno peggio dell’altro.  Ieri la commissione Esteri della camera ha licenziato definitivamente il testo base della proposta di ratifica della riforma del Mes. Solo Pd, Iv e +Europa hanno votato il mandato al relatore. La maggioranza non c’era, il governo, rappresentato dal viceministro Cirielli, non ha espresso parere, 5S e Avs si sono astenuti. Stamattina in aula ci sarà il testo ma non la maggioranza: invierà un solo esponente a spiegare le ragioni per cui non è il momento di approvare la ratifica. Poi, quando mercoledì si dovrebbe passare al voto, il governo presenterà una sospensiva sino al prossimo autunno e se ne riparla a settembre.

Le divisioni della maggioranza non c’entrano nella scelta di rinviare il voto. Fi, che sarebbe l’ala del centrodestra più favorevole alla ratifica, si è già opportunamente spostata: «Le circostanze sono cambiate, il rafforzamento di regole democratiche appare esigenza indiscutibile, bisogna rivedere le regole del Mes senza procedere a ratifiche al buio», chiarisce Gasparri per gli azzurri. Il punto è che il governo non vuole esporsi bocciando la riforma ora. Aspetta settembre e quella trattativa «a pacchetto» della quale ha parlato in aula la premier. Ma sul completamento dell’unione bancaria la strada è sbarrata dal veto della Germania: il pacchetto si limita quindi a una trattativa su ratifica del Mes e riscrittura delle regole di Maastricht.

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Però sul Patto di stabilità la situazione non è affatto rosea. Ieri la Corte dei Conti tedesca ha bocciato la proposta di riforma avanzata dalla Commissione, quella che l’Italia vorrebbe alleggerire espungendo dal computo del deficit le spese per le transizioni verde e digitale e per le armi all’Ucraina. La Corte tedesca vede limiti diametralmente opposti: la proposta della Commissione «non garantirà la sostenibilità delle finanze pubbliche nella Ue», servono regole più rigide. L’esposizione della Corte rafforza la posizione già molto determinata del ministro delle Finanze, il falco Lindner. In queste condizioni trattare per un ulteriore allentamento delle maglie sarà impresa improba.

Sul fronte dei tassi il bollettino della Bce conferma in pieno la scelta di proseguire con la stretta, già anticipata dalla presidente Lagarde: «Le future decisioni assicureranno che i tassi vengano portati a livelli sufficientemente restrittivi per ottenere un tempestivo ritorno dell’inflazione al 2%». De profundis e recessione quasi garantita.

La quarta carta perdente in mano all’Italia è il Pnrr. Oggi dovrebbero essere completati gli obiettivi necessari per la quarta rata del Recovery, 16 miliardi, in attesa che venga sbloccata la terza ferma dal 28 febbraio, 19 miliardi. Il ministro Fitto, a Bruxelles per il Consiglio europeo, ha affrontato il problema con il commissario Gentiloni, non a caso preso di petto con le cattive dalla premier in aula mercoledì scorso. Tra uno stop e l’altro non è certo che entrambe le rate arrivino entro l’anno e a quel punto bisognerebbe trovare i fondi, previsti nel Def, da qualche altra parte: col deficit o con qualche taglio doloroso.

Il problema principale però non è questo. Il guaio grosso è che un blocco che si prolunga ormai da quattro mesi non lascia presagire niente di buono per quanto riguarda la disponibilità di Bruxelles a permettere di riscrivere completamente, di qui al 31 agosto, il Pnrr. La partita europea nei prossimi mesi sarà difficilissima. Per uscirne bene battendo quel poker la premier dovrà infilare una scala reale. A volte capita: non troppo spesso.

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