Giovanna Barni, presidente di Culturmedia di Legacoop, oggi a Roma si tiene il vostro congresso. A sei anni dalla nascita che coincise con la fusione di Mediacoop e delle cooperative del turismo possiamo trarre un bilancio consolidato?
È molto vero che Culturmedia associa soggetti che svolgono attività molto diverse fra loro e hanno istituzioni di riferimento lontane. Però c’è qualcosa che le unisce di molto importante, ancor di più dopo la pandemia: il portare la cultura sul territorio, vicino alle comunità. Percorsi, presidi e spazi culturali, librerie, giornali hanno in comune l’aver rigenerato interi territori. Basti pensare alle cooperative che hanno partecipato alla rigenerazione dei borghi con progetti multidisciplinari ibridi fatti di itinerari e percorsi, di parchi e spazi di socializzazione riaperti, di nuovi musei, oppure gli hub creativi portati nelle periferie delle grandi città. Esperienze sartoriali rispetto alle specificità di ogni territorio.

Lei accennava al Covid che ha rimodellato l’economia di questi settori. Come l’hanno affrontato le vostre cooperative? Come sono ripartite?
In virtù di queste caratteristiche, dell’essere ibride e multidisciplinari, le nostre 1.500 cooperative hanno contenuto le perdite durante il Covid e sono riparte meglio di molti altri comparti e meglio di altri soggetti. Se nei nostri settori il calo del fatturato durante la pandemia è stato del 40%, noi cooperative abbiamo chiuso con solo un meno 5%. Ma è soprattutto sotto il punto di vista occupazionale che ci siano distinti: se il settore ha perso 55 mila posti, le cooperative hanno mantenuto tutti i dipendenti. Una delle chiavi è stata anche la sperimentazione di partenariato pubblico e privato. In più nella ripartenza, il pubblico ha mostrato il bisogno di una fruizione ibrida della cultura e questo ci ha molto favorito. Ora la strada è quella della valorizzazione dei beni pubblici con la partecipazione ai bandi del Pnrr e dei Fondi europei ’21-’27.

I dati occupazionali in controtendenza con la crisi stagnante si spiegano anche con altri fattori? Il problema di creare lavoro di qualità come viene affrontato?
Per le peculiarità che spiegavo, Culturmedia è un’avanguardia della cooperazione. Nelle nostre associate in questi ultimi anni si è creato lavoro, specie per i giovani. Quanto al lavoro di qualità noi vogliamo lanciare uno Statuto del lavoro culturale. La legge delega dello spettacolo è in fase di decreti attuativi e noi puntiamo a inserire nuove tutele e un nuovo equilibrio: il lavoro in questo campo è discontinuo e intermittente ma necessità di una formazione continua. Ovviamente abbiamo anche settori più fragili e con criticità come il cinema, i giornali e la piccola editoria, ma anche qui registriamo forte vitalità nelle nostre cooperative.

Per quanto riguarda l’editoria – e il manifesto – la questione del Fondo è sempre decisiva. Ora il nuovo sottosegretario Barachini promette una riforma: cosa chiedete?
Partiamo col dire che la pandemia ha dimostrato la necessità di una informazione di qualità. La deriva digitale ha coinciso con cattiva informazione e cattivo lavoro. Il Fondo per l’editoria non va intaccato. Speriamo che la riforma promessa metta fine alla paura che ogni anno hanno le nostre cooperative di veder ridotto il contributo. In più però proponiamo alle nostre cooperative di costruire reti, modelli con competenze innovative che uniscano radio, televisioni, giornali e piccola editoria.

E il futuro della cooperazione e di Legacoop come sarà?
Come cooperazione stiamo riflettendo in profondità sulla nostra identità con un percorso molto partecipato. Vogliamo affermare un ruolo più deciso: meno lobby e advocacy e più protagonismo sociale puntando sull’innovazione e le nuove economie.