È pronto alla guerra Guido Crosetto. Lo dice con tono neutro, come se fosse un fatto inevitabile, una condizione indiscutibile. Nella sua audizione del 7 novembre davanti alle commissioni Esteri e Difesa del Senato e Esteri della Camera – occasione in cui è stato presentato il documento programmatico della Difesa per il triennio 2023-2025 – il ministro lo dice chiaro e tondo: «Bisogna prepararsi al peggior scenario possibile».

QUINDI il famoso 2% di Pil da destinare alle spese militari, anche se difficilmente sarà raggiunto nel 2028 come da accordi internazionali, «è soltanto un punto di partenza». Anche se sarà difficile da raggiungere, ovvero con ogni probabilità ci sarà da forzare il bilancio più del previsto per far fronte ai bisogni delle nostre forze armate. In fondo, nella sua ora e mezza di spiegazioni, Crosetto dipinge un presente a tinte foschissime e lamenta le carenze soprattutto dell’Esercito perché sa che presto o tardi dovrà mettersi a fare la questua per raggiungere gli obiettivi scritti sul documento programmatico triennale. Mancano prima di tutto mezzi corazzati – «La Nato chiede tre brigate, ma abbiamo dovuto togliere pezzi da veicoli e aerei per farne funzionare altri» -, ma manca anche il personale: «I problemi della Difesa non si possono affrontare con le attuali regole del pubblico impiego. Come faccio a ingaggiare hacker ventenni o esperti di intelligenza artificiale che guadagnano cifre enormi?», domanda Crosetto.

IL PROBLEMA, in realtà, non è nuovo: di precariato militare si discute ormai da anni, con migliaia di persone che vengono rimandate a casa senza tanti complimenti dopo aver passato qualche anno ad addestrarsi per fare la guerra nelle caserme. Persone che, peraltro, hanno competenze molto specifiche e un mercato del lavoro (privato) che offre loro spazi e possibilità. Il tema, dunque, sarebbe quello delle assunzioni, ma Crosetto la vede diversamente. «Una riserva andrebbe pensata», dice in chiusura di incontro. Poi però aggiunge: «È una sfida più parlamentare che di ministero».

E QUESTO è vero solo in parte: l’idea sarebbe di fare come in Israele o in Svizzera, con centinaia di migliaia di riservisti sempre pronti a entrare in azione. Almeno in teoria, perché poi, per prendere ad esempio Israele, bisognerebbe aggiungere che i soldati entrati a Gaza sono quelli delle forze speciali, non le pur numerose riserve, che invece sin qui sono restate in patria. Alla fine dell’estate del 2022, comunque, l’Italia si è già mossa in questa direzione. Il governo Draghi si stava congedando, ma il 5 agosto è stata promulgata la legge 119, che ha prorogato al 2023 il termine per la riduzione degli organici delle forze armate a 150.000 unità, così come previsto dalla legge Di Paola del 2012. Erano quelli anni di spending review, e anche le uscite militari vennero coinvolte, con una revisione del sistema italiano di difesa e la decisione di ridurre il personale da 270.000 a 150.000 persone entro il 2024. Cambiati i tempi, però, sono cambiate anche le priorità e se tutti gli altri settori continuano a dover fare i conti con tagli ed economie varie, la Difesa è tornata a crescere e di recente infatti è stata decretata l’assunzione di 10.000 tra uomini e donne. A Crosetto però non basta, e infatti parla di «nuovi paradigmi operativi», «nuove competenze» e «profili di carriera flessibili».

CERTO, per fare tutto questo c’è bisogno di soldi. E per ottenere i soldi occorre esplorare i meandri di un bilancio vincolato assai dagli impegni presi in sede europea. Il ministro della Difesa però sostiene che anche qui sia possibile trovare una strada, fatto salvo l’obiettivo del 2%di Pil, intoccabile perché «è un obiettivo internazionale condiviso», dunque «gli investimenti non possono essere in contrasto con altre esigenze come sanità, istruzione e welfare» e per questo «credo si possa chiedere di sottrarli al patto di stabilità».

QUI ARRIVA il vero nodo che Crosetto si guarda bene dall’affrontare, e che anzi sembra voler scavalcare a piedi pari: il 2% di Pil per le armi è un impegno assunto in funzione della Nato, sostanzialmente un tratto di penna sopra ogni ipotesi di difesa comune europea. Infatti nel documento di programmazione si parla diffusamente di «bilancio integrato in chiave Nato», di «burden sharing» (condivisione degli oneri) in questa chiave e di «strategic concept» sull’onda di quanto deciso al summit di Madrid del giugno 2022, ma la parola Europa compare solo di sfuggita. La «bussola strategica» varata a marzo 2022 e i suoi «quattro pilastri» (Act, Secure, Invest e Partner) sono confermati. Ma sempre «in complementarità con la Nato». L’unico orizzonte possibile per Crosetto.