Economia

Cresce il lavoro povero, incognita recessione

Cresce il lavoro povero, incognita recessioneCorsico, Milano – Ap

Prospettive Occupazione, per l'Istat un record congiunturale a giugno 2022. Fammoni (Fdv-Cgil): "I precari sopra i 3 milioni occupati con bassi salari oltre 5 milioni". Confcommercio: "Nel 2022 rallentamento di produzione e consumi"

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 agosto 2022

Un’ondata di trasformazioni dei contratti a termine stipulati nei mesi scorsi, un progressivo venire meno dell’uso della casssa integrazione, l’approssimarsi della stagione turistica e la buona tenuta del Pil (+3,6) possono avere causato la crescita congiunturale dei lavoratori permanenti dipendenti registrata a giugno. Secondo l’Istat questo aumento riguarda tutte le classi di età, ad eccezione dei 35-49enni e del lavoro autonomo e ha spinto il tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa al 60,1%, un livello mai registrato dal 1977. Rispetto a giugno 2021 ci sarebbero 400 mila occupati in più, per un totale di 18 milioni 100 mila. Rispetto al primo trimestre del 2022, l’aumento dell’occupazione dipendente di questo genere sarebbe pari allo 0,4%, cioè a 90 mila unità in più. Rispetto all’aumento del Pil si tratta dunque di una percentuale modesta, sintomo di una caratteristica strutturale del mercato del lavoro: la crescita occupazionale resta contenuta nonostante rimbalzi di grande ampiezza come quello registrato dal Pil in Italia. Va ricordato che l’aumento è stato cospicuo perché più profondo è stato il crollo a causa della pandemia (l’8,9% del Pil).

Questo rimbalzo, dicono tutte le stime, è destinato progressivamente a ridursi, anche per le nuove condizioni dell’economia globale che vede il concatenarsi di crisi di diversa origine, non ultima quella amplificata dalla guerra russa in Ucraina, dell’inflazione e del rischio recessione che si è affacciato già negli Stati Uniti. Alla luce di queste considerazioni anche il dato congiunturale sull’occupazione di ieri va messo in prospettiva. È necessario farlo anche per evitare i toni trionfalistici che, com’è costume della politica che specula sulla statistica, hanno accompagnato ieri le stime dell’Istat.

Al netto delle chiacchiere del Palazzo, che qui non riportiamo, il picco va contestualizzato. Lo hanno fatto diversi osservatori rispetto alle «fragilità dello scenario internazionale che si rifletteranno in un rallentamento dell’attività economica e dei consumi nella seconda parte dell’anno» ha osservato Confcommercio. «L’aumento dei contratti stabili è poca cosa al confronto con la crescita dei contratti precari che la fanno ancora da padrone in questa ripresa» ha detto Ivana Veronese (Uil). Il presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni ha puntato l’attenzione sulla qualità del lavoro prodotta dall’aumento congiunturale. «Il bacino del lavoro povero resta molto alto. Si conferma la scelta di una produzione basata prevalentemente sulla bassa qualità del prodotto e sulla competizione di costo del lavoro. Gli occupati a termini sono stabilmente al di sopra dei 3 milioni. A questi vanno sommati i part-time involontari e un eccesso di inquadramenti nelle basse qualifiche.

Una conferma dell’inversione di tendenza è giunta ieri dall’indice Pmi dell’Eurozona sotto la soglia critica dei 50 che indica la contrazione della produzione manifatturiera. Come l’Italia anche la Germania, la Francia o la Spagna lo hanno registrato. Di solito questo è considerato il sintomo di una recessione in arrivo, anche se è ancora in questione la sua modalità e intensità.

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