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Corte suprema ultimo atto: revisione della legge antidemocratica

Corte suprema ultimo atto: revisione della legge antidemocratica

Israele I 15 massimi giudici sono chiamati ad esaminare i ricorsi contro la riforma che ha limitato i poteri di controllo della Corte sui provvedimenti del governo e della Knesset.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 settembre 2023

Alle 7 del mattino Oded, armato di tamburo, si è piazzato davanti alla sede della Corte suprema a Gerusalemme e non si è mosso da lì per tutto il giorno. Lunedì sera si è unito a decine di migliaia di persone per un’altra delle manifestazioni di protesta che dall’inizio dell’anno accompagnano a Tel Aviv e in altre città l’iter del progetto di riforma giudiziaria avviato alla Knesset dal governo di estrema destra religiosa di Benyamin Netanyahu. «I miei figli mi perdoneranno, non posso restare impassibile di fronte a questo attacco decisivo (del governo) alla Corte suprema e alla separazione dei poteri» ci dice.

Ieri tutti e 15 giudici della Corte suprema, in una seduta descritta come storica, diretti dalla presidente Esther Hayut, hanno cominciato ad esaminare i ricorsi presentati da deputati e da varie associazioni della società civile contro la prima legge della riforma approvata dal Parlamento nelle scorse settimane. È quella che ha modificato la «clausola di ragionevolezza», ossia il potere di controllo che consentiva proprio alla Corte suprema di poter respingere atti della Knesset e del governo. Se le cose andranno come vogliono Netanyahu, il ministro della giustizia Yariv Levin e il presidente della commissione costituzionale della Knesset Simha Rothman, – i tre architetti della riforma –, un leader di partito condannato e incarcerato per corruzione come Arye Deri (Shas) potrà far parte del governo. A inizio anno la Corte aveva respinto la sua nomina a ministro perché, appunto, «irragionevole». Se ne gioverà anche il primo ministro, sotto processo per corruzione, truffa e abuso di potere.

«Come finirà non lo so, sono un insegnante di fisica e capisco poco di giurisprudenza. Posso solo sperare che i giudici accolgano i ricorsi e rimandino indietro alla Knesset la legge in modo che i deputati affrontino stavolta con serietà le gravi implicazioni che essa comporta» auspica Oded, mentre a pochi metri di distanza gruppetti di manifestanti pro-governo inneggiano a Netanyahu. Una signora che indossa una shirt con la scritta «Democrazia» è convinta che i 15 giudici accoglieranno i ricorsi. «Non possono che bocciare la legge – afferma – è palese la sua contrarietà ai principi della democrazia e della separazione dei poteri». Invece per il ministro della giustizia Levin proprio la seduta della Corte cominciata ieri sarebbe «uno schiaffo alla democrazia». Perché, dice, quella votata dalla Knesset è una legge fondamentale dello Stato – Israele non ha una Costituzione – che la Corte non può sindacare.

I 15 giudici ieri hanno discusso sulle fonti di legge che dovranno ispirarli, a cominciare dalla Dichiarazione di indipendenza. In ogni caso la stessa presidente Hayut, che pure è una nemica della riforma, ha detto che bocciare una legge fondamentale sarebbe un passo estremo. I tempi sono lunghi. La Corte potrebbe comunicare la sua decisione tra settimane o forse mesi. Nel frattempo, maggioranza e opposizione considerano l’idea di un compromesso, anche se le centinaia di migliaia di israeliani contrari alla riforma non vogliono un accordo e chiedono che sia il governo a rinunciare al suo progetto. In questi ultimi giorni si sono susseguite – sotto l’egida del capo dello stato Herzog – le riunioni per arrivare a «un accordo nazionale». Pochi credono che il premier andrà, come si dice, a un «ammorbidimento» della legislazione. Proprio il partito di Netanyahu, il Likud, ieri ha ammonito la Corte suprema: «La nuova legge sulla ragionevolezza è una linea rossa, se i giudici la annulleranno vuol dire che hanno preso il potere nel paese».

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