Non è essere una donna (Giorgia Meloni), non sono gli avi immigrati (Rishi Sunak): è essere parte, ed essere dalla parte, di una storia di dominio o di emancipazione. Il discorso è chiaro, direi quasi banale, ma il ricorrente richiamo – da ultimo nelle dichiarazioni programmatiche del Governo Meloni alle Camere – ai soffitti di cristallo che si infrangono mostrano come non lo sia.

Quello di Meloni è il racconto di un successo personale, non di una storia di liberazione collettiva delle donne; nel vocabolario della destra, l’uguaglianza, quando è contemplata, trasfigura in identità, si traveste di artificiale parità e si connota in senso formale (un caso che nel discorso programmatico l’enfasi sia sulla democrazia liberale?). Non è un passo in avanti per le donne. Non si tratta di sedersi tra gli oppressori, ma di scardinare i meccanismi di dominio; non di raggiungere una parità di accesso ai privilegi di una società disuguale, ma di trasformare la società.

Quando si ragiona di parità di «condizioni competitive» (Draghi), si assiste ad una «mercificazione del pensiero femminista» (Bell Hooks), che viene rovesciato in un femminismo neoliberista, antitetico a un percorso di liberazione e trasformazione sociale. Il femminismo, invece, condivide la lotta contro uno stato di subalternità, lo stesso delle condizioni servili dei lavoratori della logistica e dei braccianti agricoli, o della vulnerabilità dei migranti. La liberazione delle donne è segnata dalla consapevolezza della trasversalità dei processi di emancipazione (l’intersezionalità) e, nell’originalità e indipendenza propria di ciascuna lotta, è naturalmente parte di un “blocco storico”, ovvero di una classe accomunata dall’essere contro l’oppressione.

Il nodo è sempre lo stesso, dominio o emancipazione, la storia come «lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese» (Marx, Engels) fra oppressori ed oppressi, subalterni e classe dominante. Non è una semplificazione, ma una demistificazione.
Troppe maschere si aggirano oggi sulla scena: guerra per la democrazia (guerra fra imperialismi); imprese come soggetto e oggetto delle politiche (liquidazione dei diritti sociali e dei lavoratori); autonomia differenziata (istituzionalizzazione della diseguaglianza e del suo incremento); (semi)-presidenzialismo nel nome della stabilità dell’esecutivo e della sovranità popolare (concentrazione del potere e populismo); “democrazia decidente” (togliere voce alle opposizioni, minoranze e dissenso è svuotare la democrazia); semplificazione e deregolamentazione (via libera alla legge del più forte); hotspot nei paesi africani per tutelare i migranti (delocalizzazione della tortura e negazione del diritto di asilo). Non aggiungiamo il femminismo alla lista.

E a proposito di dominio, emancipazione e negazione del conflitto, con la destra (estrema, non centrodestra) si afferma con prepotenza un nazionalismo che veicola una visione identitaria funzionale alla cancellazione definitiva del conflitto sociale (già negato e anestetizzato da anni), fermamente neoliberista nel sancire la centralità e la libertà dell’impresa e tutt’altro che innocuo nel richiamo al pathos elementare della triade “Dio, patria, famiglia”.

Del côté neoliberista, il nuovo governo erge a emblema il merito, sussunto nella prospettiva della meritocrazia, con la sua legittimazione e riproduzione delle diseguaglianze; con la correlata lettura della povertà come colpa, del disagio sociale come devianza e con la redistribuzione della ricchezza neutralizzata nelle forme di una caritatevole elargizione, “da meritare”. Infine la sicurezza, mantra della destra evocato come «dato distintivo»; non è un pronostico che a farne le spese saranno i diritti e gli spazi di dissenso e di protesta: nel giorno in cui il Governo si presenta alla Camera per la fiducia, la polizia interviene alla Sapienza contro gli studenti e il ministro dell’Interno minaccia il blocco delle navi che hanno salvato vite.

La libertà, citata più volte nel discorso di Giorgia Meloni, chiude il quadro, è una libertà individualista e autoreferenziale. La libertà senza uguaglianza sostanziale, è un privilegio per pochi. Dominio, non liberazione ed emancipazione. Come questo governo: neoliberista, autoritario, patriarcale, nazionalista. Occorre dire no, costruire forze dalla parte dell’emancipazione, della democrazia conflittuale e sociale della Costituzione – antifascista – nata dalla Resistenza.