«Perpetuare la tregua»: riassume così l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri, il catalano Josep Borrell, il compromesso verbale assunto dalla grande maggioranza dei rappresentanti dei 43 Stati membri dell’Unione per il Mediterraneo (UfM), la gran parte ministri degli Esteri, trovatisi ieri a Barcellona per celebrare l’ottavo forum annuale dell’organismo che riunisce i paesi della Ue e quelli del Sud e dell’Est del Mediterraneo. Ossia, prolungare il più possibile la tregua per permettere di liberare tutti gli ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas e fermare la mattanza di civili palestinesi e così evolvere in un cessate il fuoco permanente, che trovi nella soluzione di due popoli e due stati il cammino della pace duratura.

PERCHÉ, diversamente dal solito, la riunione dei paesi che si affacciano sulle due sponde del mare quest’anno ha avuto un unico punto all’ordine del giorno, quello del conflitto israelo-palestinese. Tanto che Israele ha deciso di non inviare all’assise nessun suo rappresentante. Ed è capitata giusto l’ultimo giorno della tregua tra Israele e Hamas, mentre molti attori internazionali stavano lavorando al suo prolungamento (poi confermato per altri due giorni). D’altronde, l’UfM non poteva chiamarsi fuori dalla situazione drammatica che si sta vivendo in Medio Oriente, afferma il suo segretario generale, l’egiziano Nasser Kamel: «La cooperazione tra i nostri paesi non può continuare se non troviamo una soluzione definitiva al conflitto».
All’interno dell’area euromediterranea sono tutti d’accordo sui principi, sull’obbedienza alla legge internazionale, sulla necessità di un’ulteriore pausa umanitaria e sulla soluzione di due popoli e due stati. Ma il problema, spiega il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, è come ci si arrivi al cessate il fuoco. «Tutti vogliono una pace persistente, ma questo non significa consolidare l’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele».

LA SPAGNA ha lavorato perché la riunione di ieri a Barcellona potesse segnare un precedente analogo a quello che significò la conferenza di Madrid nel ’91 per gli accordi di Oslo. Da giorni, il governo spagnolo va ripetendo in patria, in Europa e in Medio Oriente la condanna per l’attentato di Hamas il 7 ottobre scorso contro persone inermi in Israele, la necessità di una risposta all’interno del diritto internazionale umanitario, l’inaccettabilità delle morti innocenti in Palestina, la consolidazione del cessate il fuoco.
Il ministro degli Esteri José Manuel Albares, nell’aprire la conferenza, presenta quattro obiettivi che informano la strategia spagnola per la cessazione definitiva del conflitto mediorientale. Innanzitutto va rispettata la legge internazionale umanitaria: ciò che succede a Gaza è insopportabile e bisogna fermare la perdita di vite umane. Dopo il 7 ottobre, Hamas non può più dirigere Gaza, non è un interlocutore per la pace. Perciò, va aiutata l’Autorità palestinese a ristabilire la propria autorità effettiva a Gaza, facendone un socio indispensabile per la soluzione del conflitto.

D’altronde, come spiega Riyad al Maliki, ministro degli Esteri dell’Anp, l’Autorità non è mai andata via da Gaza, lì ci sono ancora 60mila funzionari che offrono i servizi pubblici alla popolazione. E poi, sostiene Albares, bisogna materializzare la soluzione di due popoli e due stati e il modo migliore per farlo è la celebrazione di una conferenza internazionale di pace in tempi brevi. Perciò «Bisogna estendere la tregua il più possibile», dice Maliki, «finora ci sono stati 15mila morti palestinesi e se la guerra continua il numero raddoppierà, perché ora stanno tutti accalcati nel Sud di Gaza».