Due guerre calde estreme in corso e due altre in via di riscaldamento. Il Consiglio europeo di ieri e oggi a Bruxelles è stato messo alla prova della resistenza della Ue di fronte allo sconquasso del mondo: la guerra in Medio Oriente, il conflitto che continua in Ucraina, e i rischi di una ripresa degli scontri tra Azerbaijan e Armenia (ieri, quando l’Euco si è aperto, l’Azerbaijan stava facendo manovre militari con la Turchia ai confini dell’Armenia) e Kosovo e Serbia, che invitati a Bruxelles hanno rifiutato di incontrarsi.

IL PRESIDENTE del Consiglio Ue, Charles Michel, chiede «unità» ai 27, ma solo in pochi lo seguono. La Spagna, che ha la presidenza semestrale del Consiglio, ha proposto ieri ai partner di organizzare un «vertice della pace» tra Israele e la Palestina entro sei mesi: «La comunità internazionale riconosce Israele – ha detto il primo ministro spagnolo – adesso quello che dobbiamo fare è riconoscere la Palestina» (nella Ue solo la Svezia, mentre all’Unesco, dove la Palestina è diventato stato membro nel 2011, la Francia aveva votato a favore, la Germania contro e l’Italia si era astenuta). Ma al Consiglio ieri neppure l’appello di Pedro Sánchez per un «cessate il fuoco» ha avuto seguito. Approvazioni dall’Irlanda, dal Lussemburgo, da pochi altri. L’austriaco Karl Nehammer ha liquidato le «fantasie» che scartano dal sostegno a Israele.

MACRON HA SPIEGATO l’iniziativa francese, soprattutto l’invio della nave Tonnerre, che è un ospedale (ma può anche servire per altri fini, meno pacifisti) a Gaza e qualche aiuto, ma la proposta di Parigi di una coalizione internazionale sul modello “anti-Isis” è ormai limitata a una maggiore cooperazione dell’intelligence, mentre Parigi non si discosta dagli Usa, che non vogliono sentir parlare di cessate il fuoco, come la Germania, schiacciata dalla storia.

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IL PRIMO MINISTRO portoghese, Antonio Costa, dopo aver difeso il connazionale Guterres segretario generale dell’Onu per la frase che ha evocato le cause dell’attacco di Hamas, ha proposto di far arrivare degli aiuti a Gaza via mare (sostenuto da Cipro), ma anche in questo caso ci vuole l’accordo di Israele, che controlla i movimenti anche marittimi.

NEL COMUNICATO FINALE  la posizione dei 27 è a favore di “pause umanitarie” (il plurale è costato ore di negoziati tra gli ambasciatori). Le divisioni restano profonde sul conflitto mediorientale. Ieri il Consiglio per smontare l’accusa di “doppio standard” che pesa sugli europei e la loro reazione alle guerre in corso, ha deplorato «le perdite da tutte le parti» in Medio Oriente.

ANCHE SULL’UCRAINA ci sono incrinature. Il primo ministro slovacco, Robert Fico, celebra il suo ritorno nel cenacolo europeo con una sfida: «Non una sola munizione per l’Ucraina» d’ora in poi da parte di Bratislava, che si limiterà «solo agli aiuti umanitari e civili». Nei fatti, conta poco: la Slovacchia ha già dato a Kyiv tutto quello che poteva di vecchie armi sovietiche e ha pagato 670 milioni nel primo anno di guerra. Ma al di là del gesto simbolico negativo, Fico rilancia Viktor Orbán, che dopo la sconfitta del Pis in Polonia temeva di essere isolato. La stretta di mano di Orbán a Putin la scorsa settimana è stata oggetto di forti critiche. Volodymyr Zelenski è intervenuto via video e il Consiglio ha voluto rassicurarlo: nel comunicato finale, 14 dei 30 articoli del testo sono dedicati all’Ucraina.

Sull’Ucraina – a differenza della Palestina – la Ue resta più o meno unita (anche l’Ungheria ha sempre votato le sanzioni alla Russia). Ma adesso sta sorgendo lo scoglio dei soldi. La questione del budget della Ue non era veramente in agenda del summit, ma il problema cresce: la Commissione ha chiesto 66 miliardi di finanziamento supplementare agli stati membri per il bilancio 2021-27 perché sarebbero finiti i soldi. Le “formiche” (Danimarca, Svezia, Austria, Olanda) affermano che Bruxelles sta nascondendo un «tesoretto» e che, comunque, sostiene anche la Germania, bisogna «ridestinare» delle spese a favore delle iniziative prioritarie. Ucraina in testa. La Ue si è impegnata a sostenere l’Ucraina, per la ricostruzione e non solo la guerra, con altri 50 miliardi di euro. Un accordo dovrebbe essere raggiunto entro fine anno.

C’è in ballo l’aumento di 20 miliardi dell’European Peace Facility, che come il nome non indica, serve per comprare armi: la Francia vorrebbe imporre un buy european mentre all’est pensano di comprare low cost (in Corea per esempio).