Economia

Colaninno, lo scalatore dei ‘frizzanti’ Novanta

Colaninno, lo scalatore dei ‘frizzanti’ NovantaRoberto Colaninno

Ritratti Protagonista del nuovo corso imposto dal neoliberismo, è morto a 80 anni. Il suo nome resta legato soprattutto all’affaire Telecom

Pubblicato circa un anno faEdizione del 20 agosto 2023

Con Roberto Colaninno, scompare uno dei protagonisti della stagione decadente e predatoria del capitalismo italiano. Gli anni delle privatizzazioni selvagge e della completa integrazione della nostra economia nel circuito della finanza speculativa globalizzata.

CLASSE 1943, MANTOVANO, la sua carriera inizia alla fine degli anni Sessanta. Un altro mondo, se paragonato ai «frizzanti» Novanta, nei quali dimostrerà una certa capacità di adattamento al nuovo corso imposto dalla trionfante dottrina neoliberista. Amministratore delegato della Fiaam, società lombarda di componenti per auto, nel 1969, all’inizio degli anni Ottanta fonda una sua azienda di componentistica, che presto entrerà nel giro della Cir (Compagnie Industriali Riunite) della famiglia De Benedetti. Nel 1995 è amministratore delegato della Olivetti, quando il gioiello dell’industria elettronica ed informatica italiana è già in una fase di evidente crisi.

Il suo nome, nondimeno, è legato per lo più all’affaire Telecom. Storia indicativa dei cambiamenti che il capitalismo italiano ha subìto sul finale del secolo scorso. La divisione del mondo in due blocchi non c’è più, prende piede il progetto dell’Unione europea (e dell’euro) su basi marcatamente neo-liberali (il Trattato di Maastricht è del 1992).

In Italia sono gli anni della speculazione sulla lira, delle controriforme sociali, del «risanamento» dei conti pubblici sulla pelle dei ceti popolari, delle privatizzazioni su larga scala. Il Pci ha cambiato nome e suoi «eredi» sono passati dall’altra parte, costringendo anche il sindacato a scelte discutibili (la «politica dei redditi»). Si ritrovano in “buona” compagnia, con banchieri, manager pubblici convertiti al finanzcapitalismo e luogotenenti delle banche internazionali. Amato, Ciampi, Prodi, D’Alema, Draghi. Nomi che rievocano i passaggi più salienti del lavoro di smantellamento dell’industria pubblica italiana. Telecom compresa.

NEL 1998, A UN ANNO dalla sua privatizzazione (governo Prodi), l’azienda di telecomunicazioni si collocava tra le prime quattro società italiane per fatturato e non aveva debiti. Unica criticità, i contrasti tra i suoi maggiori azionisti. Un boccone appetibile, per imprenditori rampanti. È Roberto Colaninno, però, che prende la palla al balzo. Siamo nel 1999 e alla guida del governo c’è Massimo D’Alema. Con i soldi di una finanziaria lussemburghese, e col sostegno di importanti banche internazionali, parte la scalata. Soci dell’operazione, un gruppo di industriali e finanzieri lombardi guidati da Emilio Gnutti. Inutile la resistenza dell’allora presidente Franco Bernabè.

Pesa la «neutralità» del governo, che non si presenta all’assemblea straordinaria dei soci, convocata per affrontare la situazione. L’Opa ha successo. Ma dopo due anni i debiti sovrastano abbondantemente il patrimonio. Colaninno a quel punto lascia, arriva Marco Tronchetti Provera, con la benedizione di Silvio Berlusconi, nel frattempo ritornato a Palazzo Chigi. Il resto è storia di un inesorabile declino dell’azienda, finita poi sotto il controllo della spagnola Telefonica.

LA VICENDA È paradigmatica, perché descrive bene il meccanismo alla base del neo-capitalismo trainato dalla finanza e dal debito. La «leva finanziaria» (investimenti con soldi che non si hanno) è il fondamento delle scommesse sui mercati finanziari (anche «ombra»), della speculazione pura, che ha ammorbato anche il rapporto tra finanza ed economia reale. Castelli di carta, che crollando generano crisi, o veri e propri terremoti nel sistema, come la storia degli ultimi trent’anni «ingloriosi» ha dimostrato. Il capitalismo del brevissimo periodo, dove contano i dividendi immediati, non la solidità patrimoniale delle aziende o il destino dei lavoratori, men che meno il futuro della «nazione».

DOPO TELECOM, Colaninno si butta nell’immobiliare, acquisendo la società Immsi. Ma è solo un passaggio. Un altro. Dopo un anno, infatti, la Immsi viene trasformata in una Holding di Partecipazioni industriali e quotata in borsa. Servirà ad acquistare Piaggio, l’azienda di veicoli a due ruote e commerciali, fondata a Pontedera nel 1884, la cui storia, intorno alla metà degli anni Sessanta, incrocerà, per via nuziale, quella della Fiat. Per ora, una storia di «successo» (oggi Piaggio è il primo costruttore europeo di veicoli a 2 e 3 ruote), al netto delle vicissitudini che hanno riguardato le sue maestranze.

Meglio dell’avventura di Alitalia, quando Colaninno, nel 2008, si mise alla testa dei «patrioti» (termine usato da Berlusconi) che volevano salvare la compagnia di bandiera italiana, nel frattempo finita del mirino di France Klm. 1,25 miliardi di euro di debiti in quattro anni di gestione. Poi, la chiusura nel 2021 e la «svendita» a Lufthansa. Tutto secondo copione.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento