Lavoro
Co-determinazione, la vera forza del modello tedesco
Renzi invoca il modello industriale tedesco per tentare di risolvere il problema del lavoro e della disoccupazione. Però non dice che quel sistema industriale si fonda soprattutto sulla co-determinazione (Mitbestimmung), […]
Volkswagen – Reuters
Renzi invoca il modello industriale tedesco per tentare di risolvere il problema del lavoro e della disoccupazione. Però non dice che quel sistema industriale si fonda soprattutto sulla co-determinazione (Mitbestimmung), […]
Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 4 settembre 2014
Renzi invoca il modello industriale tedesco per tentare di risolvere il problema del lavoro e della disoccupazione. Però non dice che quel sistema industriale si fonda soprattutto sulla co-determinazione (Mitbestimmung), che in italiano spesso si traduce male con cogestione). In Germania i rappresentanti dei lavoratori siedono nel cda delle grandi e medie aziende con pari diritti degli azionisti: infatti per legge tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, eleggono non solo il consiglio sindacale di fabbrica ma anche i loro rappresentanti nei consigli direttivi delle imprese.
In Germania i lavoratori hanno quindi un enorme potere: il governo delle maggiori imprese, come Volkswagen e Siemens, è condiviso da lavoratori e azionisti. Ma tutto questo viene accuratamente nascosto dal governo italiano, e anche dai media e dai giornali nostrani.
Per esempio Maurizio Ferrera sul Corsera indica che bisognerebbe apprendere la lezione tedesca e seguire il cosiddetto «modello Hartz». Occorrerebbe quindi, secondo Ferrera, realizzare anche in Italia una (contro)riforma del mercato del lavoro analoga a quella promossa nel 2003-2005 dal governo socialista di Schröder per ridurre il costo del lavoro, diminuire il potere dei sindacati e introdurre i precari mini-job a 400 euro al mese.
Ma il Corriere – il cui maggiore azionista è diventata la Fiat di Marchionne – non cita il fatto che in Germania da decenni i rappresentanti dei lavoratori (che costituiscono addirittura la metà dei consiglieri di amministrazione nelle grandi aziende) decidono alla pari degli azionisti sui bilanci, sulle strategie aziendali, sul management, e influenzano le decisioni sulle ristrutturazioni e sulle delocalizzazioni.
In Germania è difficile che gli azionisti possano decidere di delocalizzare all’estero – come ha fatto la Fiat – senza il consenso preventivo dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio d’amministrazione. E questi pongono ovviamente come condizione che nessun lavoratore venga licenziato in patria. I lavoratori tedeschi non hanno una partecipazione finanziaria nel capitale delle aziende (come invece vorrebbe la Cisl in Italia) e fortunatamente non sono legati agli utili del capitale ma hanno un potere reale sulle imprese. È questo il vero segreto della potenza manifatturiera tedesca: i lavoratori codecidono del destino delle «loro» aziende e naturalmente sono interessati a svilupparle e a innovare.
In Germania non accade – come è avvenuto e avviene invece in Italia nei casi Fiat, Indesit o Telecom Italia – che gli azionisti possano decidere da soli e senza condizioni di cedere i gioielli dell’industria nazionale o di trasferirsi all’estero provocando ovviamente disoccupazione nel nostro paese. Nel modello tedesco i consiglieri votati dai lavoratori fungono da «azionisti lungimiranti» e possono condizionare le aziende verso uno sviluppo socialmente e ecologicamente sostenibile. Banche d’affari e fondi speculativi, che cercano solo profitti finanziari di breve periodo a scapito dello sviluppo industriale, sono contrastati dalla presenza dei lavoratori nei consigli direttivi.
Nonostante i pericoli di corporativismo e di nazionalismo, sembra che finalmente anche il sindacato italiano sia orientato verso modelli di Mitbestimmung. Recentemente Susanna Camusso, segretario della Cgil, in una lettera al Corsera ha proposto di applicare anche in Italia l’articolo 46 della Costituzione che recita testualmente «la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Questo articolo costituzionale non è mai stato applicato perché la Confindustria si è sempre opposta duramente a qualsiasi limitazione dei poteri esclusivi degli azionisti, e anche per l’opposizione della stessa Cgil.
Ora però i tempi sono cambiati: cresce la consapevolezza che l’opposizione sindacale alla deindustrializzazione, alla finanziarizzazione delle aziende e alla disoccupazione di massa basata esclusivamente sul conflitto e gli scioperi non basta più. Il conflitto è indispensabile ma occorre anche una sponda politica; e occorre che venga introdotto anche in Italia non il sistema Hartz ma il modello tedesco di condivisione del potere aziendale. Anche se i nostri giornali nascondono la forza di questo modello, e anche se la Confindustria si oppone fermamente.
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