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Clorinda e Ancilla, la Storia delle partigiane combattenti

Clorinda e Ancilla, la Storia delle partigiane combattentiAncilla Marighetto Ora e Clorinda Menguzzato Veglia, sotto il battaglione Gherlenda

25 aprile Facevano parte del Battaglione Gherlenda, che operava tra Veneto e Trentino, le più giovani donne decorate tra le diciannove Medaglie d’oro femminili

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 25 aprile 2018

Non lo hanno mai saputo. E, quasi certamente, non avrebbero mai potuto immaginare che i loro nomi un giorno sarebbero stati scritti sulle insegne di alcune strade, incisi sulla parete di una scuola e stampati tra le pagine dei libri di storia. Ancilla Marighetto Ora e Clorinda Menguzzato Veglia sono le più giovani donne decorate tra le diciannove Medaglie d’oro al valor militare femminili della Resistenza italiana.

ORIGINARIE dello stesso vivace borgo di montagna, Castello Tesino in provincia di Trento, amiche da sempre, le due ragazze, con in tasca la licenza elementare, uscirono presto per motivi di lavoro dall’altopiano in cui vivevano. Ancilla, classe 1927, aveva trascorso un’estate con la sorella Giacomina nella zona di Pavia a fare la mondina. Avevano raccolto riso, mangiandolo a colazione, pranzo e cena, guadagnandone un chilo al giorno da portare con sé al ritorno per il resto della famiglia. Clorinda, nata nel 1924, assieme al padre Augusto viaggiava per il Triveneto come venditrice ambulante di cappelli. Durante alcune soste a Bolzano, dopo l’8 settembre, si recò alla stazione dei treni per raccogliere le lettere dei deportati diretti ai campi di sterminio, oltre la linea del Brennero.

Con i loro fratelli, Celestino Marighetto Renata e Rodolfo Menguzzato Menefrego, le partigiane Ora e Veglia furono l’anima del Battaglione Giorgio Gherlenda, un distaccamento della Brigata garibaldina Antonio Gramsci, che operò a partire dall’estate del 1944 tra Veneto e Trentino. Come ricorda lo storico Renzo Francescotti nel suo romanzo Il battaglione Gherlenda: partigiani nel Trentino ispirato alla storia del gruppo ribelle, furono due coppie di fratelli destinati a scrivere uno degli episodi più belli della Resistenza.

Clorinda e Ancilla, da staffette, divennero partigiane combattenti, parificate nel ruolo ai compagni. Portarono informazioni preziose, muovendosi a piedi da una vallata all’altra, con i fucili in spalla e in prima linea in molte azioni. «Si vedeva che era emancipata, da come si muoveva e anche da come vestiva – commentò nel 2013 il partigiano Corrado Pontalti Prua, parlando di Clorinda, la prima delle due ragazze a comparire alla sede del comando – Quando all’inizio l’ho vista, mi sono detto con ammirazione “toh, una partigiana”!».

NEL SETTEMBRE DEL 1944, i giovani del Gherlenda presero d’assalto la caserma del Cst, il Corpo di Sicurezza Trentino, un reparto militare dipendente dalle Ss. Disarmarono i soldati senza ferirne nessuno, una vicenda comunicata anche da Radio Londra. In seguito, dopo un primo scontro in cui perse la vita il comandante partigiano Isidoro Giacomin Fumo, i nazisti colpirono Castello Tesino con un grande rastrellamento, secondo quanto raccolto dallo scrittore Giuseppe Sittoni e come narrato nel suo libro Uomini e fatti del Gherlenda, schierando più di 500 uomini, armati di cannoni e mortai.

Era l’8 ottobre e quella sera i partigiani si diedero appuntamento in cima al paese, pronti a fuggire verso un luogo sicuro. A loro, si unirono anche Ora e Veglia. Clorinda giunse sorreggendo Gastone Velo Nazzari, il vicecomandante: tra i due era nato un forte sentimento. Il ragazzo aveva la febbre alta, conseguenza di percosse subite mesi prima durante una cattura. Veglia si rifiutò di abbandonarlo e decise di rifugiarsi con lui in un posto più vicino. Poco dopo, però, furono catturati in prossimità di un ponte, appena fuori dal paese. Torturati per un giorno intero e poi divisi. Veglia rimase in balia dei suoi aguzzini per altre 48 ore, chiusa in una stanza d’albergo, ma non svelò i nomi e il nascondiglio dei suoi compagni. Così l’11 ottobre la fucilarono, calciando il suo corpo lungo un dirupo. Da un verbale citato nel testo del 1945 La vita per l’Italia!, curato dall’Anpi, emerge che i soldati abusarono di lei anche dopo la morte e si divertirono a scattare alcune fotografie al suo cadavere violato, immagini che vennero ritrovate a casa della fidanzata di uno dei due assassini. Il 15 ottobre del 1944 Veglia avrebbe compiuto vent’anni.

 

In quei giorni i nazisti uccisero anche Nazzari e il padre di Ora, bruciando il maso della famiglia Marighetto che conteneva il riso guadagnato a fatica. Dopo quei fatti, nel lungo inverno del 1945, il momento più difficile per l’intera Resistenza italiana, Ancilla si rifugiò in montagna, assieme ai reduci del Gherlenda. Il 19 febbraio, raggiunti dai nazisti, i partigiani fuggirono nel bosco innevato ma Ora, che indossava un maglione rosso piuttosto visibile e aveva ai piedi degli sci difettosi, venne presto raggiunta. Aveva da poco compiuto diciotto anni.

A ordinare l’esecuzione di Ancilla fu il comandante delle Ss Karl Julius Hegenbart, lo stesso che mesi prima aveva torturato Clorinda. Il nazista, di origine austriaca, si aggirava per Castello Tesino in sella al suo cavallo bianco e in compagnia di un cane lupo. Si vantava di aver ucciso in Russia più di 200 bambini e, come scrive Sittoni, «Hegenbart fu condannato all’ergastolo» ma fuggì in Austria, dove morì nel 1990, senza che venisse mai concessa l’estradizione.

Il Battaglione Gherlenda, guidato dal comandante Celestino Marighetto Renata, fratello di Ancilla, entrò a Castello Tesino il 25 aprile del 1945, liberando così il primo paese del Trentino. Lungo la strada i partigiani incontrarono un gruppo di tedeschi in fuga. Come riporta lo studioso Carlo Zanghellini, Renata li fece schierare e si rivolse al suo interprete: «Loro qui hanno fucilato mio padre, mi hanno devastato la casa, incendiato il maso e trucidato la sorella – fece tradurre, mentre tutti si aspettavano che intimasse di sparare – date loro la roba sequestrata, un salvacondotto e indicate loro la strada. Basta che se ne vadano».

Rodolfo Menguzzato Menefrego, dopo la morte della sorella Clorinda, secondo alcune testimonianze di famiglia e come narrato nel libro di Francescotti, accompagnò alcuni ufficiali inglesi in Svizzera e si ritrovò a Dongo, con i partigiani dell’Ossola, nei giorni in cui presero Mussolini.

IL GHERLENDA fu il distaccamento della Brigata Gramsci con il maggior numero di deportati nel campo di concentramento di Mauthausen, tra cui il noto prete antifascista don Narciso Sordo. Le perdite si contarono anche da parte tedesca ma, come conferma Lorenzo Gardumi, ricercatore della Fondazione del museo storico del Trentino, «nessun milite del Cst fu ucciso in Tesino per mano partigiana».

La storia di Ora e Veglia, due future Medaglie d’oro v.m. della Resistenza cresciute assieme, è unica e allo stesso tempo è emblematica di un fenomeno per molto tempo taciuto. I numeri riportati dall’Anpi parlano di 35.000 donne che combatterono nella Resistenza: 4.653 arrestate e torturate, oltre 2.750 deportate, 2.812 fucilate o impiccate e 1.070 cadute in combattimento. Storie di responsabilità e coraggio spesso dimenticate, relegate in seconda fila o costrette nelle vesti di staffette. Storie di donne che in molti casi, come fu per Ancilla e Clorinda, non conobbero mai il giorno della Liberazione.

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