Cisgiordania, l’annessione è ferma ma non per i coloni israeliani
Territori occupati I "settler", quasi sempre con l'assenso delle autorità militari, non cessano le attività di creazione ed espansione dei loro avamposti sulle terre palestinesi
Territori occupati I "settler", quasi sempre con l'assenso delle autorità militari, non cessano le attività di creazione ed espansione dei loro avamposti sulle terre palestinesi
Una grande nuvola di polvere avvolgeva ieri l’area di Kisan, un villaggio palestinese di 800 anime intorno al quale sorgono due insediamenti ebraici, Maale Amos e Avi Menahem, tra Betlemme ed Hebron. Nel polverone si intravedevano le sagome di ruspe dalle ruote enormi, con gli autisti intenti a spianare terreni del villaggio in vista dell’espansione della colonia di Ibei Ha Nahal, sorto nel 1999. Da sette giorni va avanti così e i coloni israeliani stanno provvedendo a trasportare nella zona roulotte e caravan. Invece il mese scorso le autorità militari hanno bloccato la ristrutturazione della scuola elementare di Kisan, costringendo gli abitanti ad usare roulotte come nuove aule. Altre ruspe presto entreranno in azione a non molti chilometri da Kisan. Le autorità israeliane, rivelano i palestinesi, hanno comunicato la confisca di 70 ettari di terre delle famiglie al Wahsh, al Asaker e al Masda, ai piedi del Jabal al-Fureidis (“Montagna del Paradiso”), più noto come l’Herodion, la collina a forma di tronco di cono sulla cui sommità Erode il Grande fece costruire un palazzo-fortezza. L’area è già stata recintata con filo spinato.
Il piano di annessione unilaterale a Israele di un iniziale 30% della Cisgiordania è stato messo nel congelatore, almeno per ora, dal premier israeliano Netanyahu alle prese con l’aggravarsi dell’emergenza coronavirus e ancora in attesa del via libera definitivo dell’Amministrazione Trump. Ma ciò non significa che l’annessione metro dopo metro di terra, quella che va avanti dal 1967, si sia fermata. Al contrario l’esercito, il governo e soprattutto i coloni di Israele sono attivi in questo periodo e stanno avviando o ultimando progetti vecchi e nuovi nei Territori palestinesi occupati. I coloni qualche settimana fa hanno dato vita ad un nuovo avamposto in cima al villaggio di Asira a-Shamaliya, a nord di Nablus. Un paio di roulotte e una stalla improvvisata niente di più all’inizio ma è bastata per mettere radici. E il 7 luglio è arrivata l’immancabile ruspa che ha alzato un terrapieno tra l’avamposto e il villaggio. Ora i coloni cercano di stabilizzare la loro presenza senza che i soldati, presenti in un vicino campo militare, muovano un dito per sgomberare un insediamento coloniale che sarebbe illegale anche per la legge israeliana oltre che per quella internazionale. «Hanno prima occupato terre private di proprietà di famiglie del villaggio poi hanno portato pecore e capre che allevano nell’area intorno all’avamposto. E pochi giorni fa sono arrivati un generatore e un ampio serbatoio d’acqua. Per ora non si sono mossi da lì ma la loro presenza non consente agli agricoltori di lavorare i terreni in quella zona», spiega ai giornalisti Hazem Yasin, il sindaco di Asira a-Shamaliya che accusa le autorità militari israeliane di aiutare i coloni: «Senza l’assistenza dell’esercito non sarebbero arrivati fin qui».
La prova non c’è, però quando sono cominciate le proteste palestinesi i militari israeliani si sono schierati a difesa dell’avamposto, sparando granate stordenti e gas lacrimogeni verso gli abitanti del villaggio e alcuni attivisti palestinesi. E non hanno certo chiesto ai coloni di andare via. Il portavoce militare ha parlato di decisione «tattica» e che il terrapieno sarà rimosso. E invece, afferma la gente di Asira a-Shamaliya, i militari starebbero aiutando i coloni a collegare l’avamposto alla rete elettrica e fornendo acqua. Conferma Dror Etkes, un esperto israeliano di politiche di insediamento, secondo il quale i coloni raramente si muovono senza avere un qualche tipo di coordinamento con l’esercito.
Nella vicina Kufr Qaddum nel frattempo non si arrestano le manifestazioni settimanali degli abitanti per la chiusura, ormai da quasi venti anni, di Nahlah, la strada principale di accesso al villaggio che impedisce il transito delle auto palestinesi accanto alla colonia di Kedumim. Anche venerdì scorso centinaia di palestinesi hanno chiesto di poter percorrere la Nahlah e di non dover più usare le stradine secondarie che allungano il tragitto per poter raggiungere il villaggio di parecchi chilometri. Ma i coloni non cedono: non vogliono che i palestinesi percorrano i due chilometri in cui la Nahla si snoda tra gli ulivi e nei terreni, confiscati al villaggio, dove 45 anni fa è stata fondata Kedumim. E nella zona di Nablus da giorni si segnalano incendi di uliveti palestinesi adiacenti alle colonie, che, denunciano i proprietari, non si sono certo originati per «autocombustione».
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