Economia

Il greenwashing dei petrolieri

Il greenwashing dei petrolieri

L'analisi del think tank InfluenceMap Nonostante le promesse le Big Oil continuano a investire su gas e petrolio

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 9 settembre 2022

Shell, BP, TotalEnergies, Chevron ed ExxonMobil spendono centinaia di milioni di dollari ogni anno per una strategia sistematica per presentare la propria azione come positiva e proattiva rispetto all’emergenza del cambiamento climatico. Ciò, però, è incoerente con i piani di investimento delle stesse aziende. A rivelarlo è un’analisi approfondita delle comunicazioni pubbliche delle cinque «supermajor» del petrolio, diffusa da InfluenceMap, un think tank indipendente che produce analisi basate sui dati su come le imprese e la finanza influenzano la crisi climatica.

Il rapporto «Big Oil’s Real Agenda on Climate Change 2022» (la vera agenda delle big del petrolio sui cambiamenti climatici) ha preso in considerazione 3.421 singoli elementi di comunicazione pubblica delle cinque aziende nel corso del 2021, scoprendo che il 60% conteneva almeno un’affermazione verde, mentre solo il 23% conteneva affermazioni che promuovevano il petrolio e il gas (mentre un altro 23% non conterrebbe affermazioni rilevanti né per il petrolio né per il gas). Com’è palese dai dati rilevati, le affermazioni che sottolineano il sostegno o il coinvolgimento delle aziende negli sforzi per la transizione del mix energetico sono state di gran lunga le più popolari.

Nessuna delle aziende rende note le strategie che muovono le proprie scelte di comunicazione sul cambiamento climatico, né le risorse dedicate alle relative attività. InfluenceMap, così, a partire dal numero di comunicazioni e dai media impiegati, stima che le cinque aziende spendano circa 750 milioni di dollari ogni anno per le attività di comunicazione sul clima. Una stima prudente, perché non include l’utilizzo di agenzie esterne né le pubblicità. In contrasto con la netta predominanza di «dichiarazioni verdi», solo il 12% degli investimenti delle cinque società per il 2022 è dedicato ad attività a «basse emissioni di carbonio», mentre la produzione di petrolio e gas sembra destinata ad aumentare fino al 2026. Queste previsioni di produzione non terrebbero conto in modo significativo delle raccomandazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia definite all’interno dello scenario «Emissioni nette zero entro il 2050».

C’è profonda distanza anche tra le comunicazioni pubbliche a favore del clima e le attività di lobbying delle supermajor. InfluenceMap ha rilevato che nessuna delle aziende ha allineato le proprie attività agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Mentre Shell, TotalEnergies e BP indicano un mix di attività di advocacy a favore e contro il clima, ExxonMobil e Chevron sono impegnate quasi esclusivamente in opposizione. La ricerca ha trovato prove del fatto che tutte le supermajor, tranne TotalEnergies, sono state impegnate nel corso del 2021 per sostenere politiche che incoraggiano lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas.

E , ad eccezione di Chevron, tutte hanno esercitato pressioni sui politici per indebolire le politiche incentrate sulle energie rinnovabili. Il monitoraggio di InfluenceMap indica che nessuna delle supermaggioranze ha esercitato pressioni a favore delle normative sulla riduzione delle emissioni di metano dal 2021, assumendo invece posizioni contrastanti o negative sui dettagli di specifiche normative. Questo nonostante sia riconosciuta dalla comunità scientifica l’importanza della mitigazione del metano in atmosfera.

Il report di InflunceMap prende le mosse dall’attenzione che l’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, ha scelto di prestare alle strategie di pubblicità aziendale e di costruzione del marchio, che nel caso di settori ad alto impatto «possono anche tentare di deviare la responsabilità dell’azienda verso i singoli individui o di appropriarsi del sentimento di attenzione al clima per la costruzione del proprio marchio». Per questo la «regolamentazione della pubblicità» è identificata come misura politica che potrebbe contribuire a modificare lo stato delle cose. Tra gli esempi di intervento riportati da InflunceMap c’è anche quello dell’Antitrust italiano, che nel dicembre 2019 ha multato per 5 milioni di euro Eni, per una sua campagna pubblicitaria che diffondeva «informazioni false e omissive», associando le parole green e Eni Diesel+.

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