Visioni

Chris Watson: «Il registratore? È diventato il mio strumento compositivo»

Chris Watson: «Il registratore? È diventato il mio strumento compositivo»I Cabaret Voltaire

Incontri Dai Cabaret Voltaire alla scoperta dei suoni della natura, l’itinerario dell’artista britannico. Autore di colonne sonore, ha realizzato album, installazioni e podcast

Pubblicato circa un anno faEdizione del 15 ottobre 2023

Si è fatto conoscere creando il suono dei Cabaret Voltaire, band che in uno dei tanti momenti magici della musica inglese, tra i Joy Division e i Throbbing Gristle, ha contribuito a dare forma all’industrial, sperimentando con l’elettronica, manipolando dispositivi artificiali e rumori registrati su nastro, scomponendo le ritmiche. Poi, dopo una breve parentesi con gli Hafler Trio, è cominciato il suo lavoro con la tv e, in parallelo, il percorso solista che lo ha portato a diventare uno dei più importanti sound recordist al mondo, accantonando macchine e suoni sintetici per immergersi sempre più nell’ascolto della natura. «Ma per me si tratta sempre dello stesso viaggio, è un flusso continuo. È solo che, lentamente, sono diventato sempre più interessato a quello che potevo ascoltare e registrare fuori, all’aperto, rispetto alla musica che facevamo chiusi in uno studio». È un cammino lungo e avventuroso quello di Chris Watson, in un’incessante ricerca di universi sonori sconosciuti che dura da oltre cinquant’anni.

Chris Watson, foto di Silvia Longhi per gentile concessione di Fabrica

 

È UNA PASSIONE, quella per le incisioni su nastro, che arriva da lontano. «A 12 anni i miei genitori mi hanno regalato un registratore portale a nastro, un dono davvero ispirato», ricorda Watson. «Registravo qualsiasi cosa in casa: il frigorifero, l’aspirapolvere, lo scarico del bagno. Mi affascinava molto il processo, catturare un suono e poi risuonarlo. Nella nostra casa di Sheffield avevamo una mangiatoia per gli uccellini, che io osservavo dalla cucina senza poterli udire. Mi sono ricordato che il registratore aveva delle batterie: l’ho portato fuori e lasciato lì, acceso, distribuendo un po’ di pane per far mangiare i volatili, e sono corso dentro: il nastro durava solo 8 minuti. Quando poi ho premuto play sono stato trasportato in un’altra dimensione, cui ora avevo finalmente accesso. Ascoltavo le conversazioni tra questi animali, i loro suoni mentre mangiavano, le comunicazioni. C’era un intero mondo sonoro che si stava aprendo davanti a me».

“Nel tempo il fenomeno dell’inquinamento acustico è cresciuto, ancora maggiore nei mari, e questo ha un profondo effetto psicologico su tutti gli esseri viventi”

La scoperta di Pierre Schaeffer e della musique concrète in un programma radiofonico della Bbc, «ha fatto sì che il registratore diventasse il mio strumento compositivo. Il nastro è scolpito, è tattile, si può montare, suonare a differenti velocità».
Il lavoro di Chris Watson, da quel momento ha assunto diverse forme. Si è occupato a lungo di colonne sonore, collaborando molti anni con il divulgatore scientifico britannico David Attemborough. Ha realizzato album, installazioni, podcast come Oceans of noise (per il Guardian, sull’inquinamento acustico negli oceani), ha spostato sempre più in là la frontiera di cosa si può rendere suono, creando mappe sonore, rispondendo a commissioni per inventare la soundtrack di quadri come L’altalena, il capolavoro rococò di Jean-Honoré Fragonard o del Campo di grano di John Constable, per la National Gallery.
A Treviso, al centro di ricerca sulla comunicazione di Fabrica (all’interno del programma di Co-ecologies, programma curato dal regista spagnolo Carlos Casas), Chris Watson presenta il suo lavoro a partire da un viaggio al Polo Sud, per la realizzazione di un documentario.

SI SPOSTA con microfoni e auricolari, registra a lungo, si aiuta con le fotografie e tiene un diario, come in ogni viaggio. Racconta il suo processo compositivo, che descrive più di tutto la sua visione del mondo, la stessa che cerca di trasmettere agli studenti che accompagnerà in un workshop di ascolto del bramito dei cervi sul Cansiglio, sulle Prealpi bellunesi. «Devo essere presente, nel posto, dove registro in prima persona», spiega. «Questo è importante per l’integrità di un brano. Più tempo ci passo e meglio è, perché così ho un’esperienza diretta. È un processo di ricerca. Come si cattura l’essenza di un luogo attraverso il suono, attraverso una registrazione? È questa la sfida».
Chris Watson è anche il presidente della Wildlife Sound Recording Society, associazione che conta oltre 300 membri in tutto il mondo, che si scambiano consigli e condividono materiali. Il lavoro degli appassionati di field recording assume un’importanza totalmente nuova in quest’epoca in cui, a causa dell’emergenza climatica, gli ecosistemi e le specie animali si trovano in una condizione di enorme vulnerabilità. «I luoghi cambiano» osserva Watson, «alcuni suoni sono scomparsi, rispetto agli anni in cui ho iniziato. C’è molto inquinamento sonoro, ancora maggiore nei mari, che ha un profondo effetto psicologico, su tutti gli esseri viventi. C’è un movimento molto interessante oggi basato sull’ecologia acustica, che ci fa capire quanto è importante mappare i suoni dei luoghi, per osservarne i mutamenti». Un lavoro che può aiutare la comunicazione scientifica: «A volte la scienza può risultare ostica per molte persone, l’uso dell’arte e della musica possono diventare un modo molto potente di veicolare messaggi chiari e di più facile comprensione».

IL SUO ULTIMO disco, pubblicato da Touch Records, si intitola Oxmardyke, nato registrando i suoni di una cabina di manovra lungo un’antica tratta ferroviaria nell’est dell’Inghilterra. È un disco realizzato insieme al musicista Philip Jeck, morto l’anno scorso a causa di una malattia. «Philip era un amico. Abbiamo viaggiato molto insieme», ricorda Chris Watson. «A lungo ci siamo detti di fare un disco insieme, abbiamo cominciato insieme e prima che finisse se n’è andato. Con Mary, sua moglie, abbiamo completato l’album. Sono molto felice di averlo concluso».

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