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Chiude anche l’Al Awda circondato da Israele. Il nord di Gaza senza ospedali

Chiude anche l’Al Awda circondato da Israele. Il nord di Gaza senza ospedaliGaza. Le macerie di Rafah – Ap

Striscia di sangue Oggi partono a Mosca i colloqui per la formazione di un governo palestinese di unità nazionale. In Israele le amministrative non riservano sorprese

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 29 febbraio 2024

Medici, infermieri e amministratori dell’ultimo ospedale funzionante nel nord di Gaza, Al Awda, hanno dovuto gettare la spugna dopo aver lavorato per quasi cinque mesi in condizioni di costante emergenza e assediati dalle truppe israeliane. L’Al Awda ieri ha annunciato di aver sospeso tutti i servizi medici a causa della grave carenza di carburante, medicine, cibo e molto altro. Gli ultimi 18 giorni sono stati un inferno e quattro bimbi nati prematuri rischiano la vita per disidratazione. Un primario, il dottor Mohammed Salha, ieri non poteva contenere lo sconforto per lo stop all’ospedale. La decisione imposta dalla guerra, ha detto, «priva di tutti servizi sanitari di base i cittadini nel nord di Gaza». Per i 200-300mila palestinesi che hanno scelto di non abbandonare la parte settentrionale della Striscia nonostante i bombardamenti aerei, è un altro duro colpo. Che peggiora le condizioni di vita e si aggiunge alla scarsità di cibo e acqua potabile. A soffrirne di più sono i bambini, gli anziani, le donne incinte e quelle che hanno partorito da poco. Tante madri non possono allattare i loro neonati perché non riescono a nutrirsi a sufficienza per produrre latte. Il cibo scarseggia e quando si trova costa troppo. I prezzi dei generi di prima necessità sono schizzati alle stelle a causa della chiusura di Gaza praticata da Israele. Ieri a Rafah centinaia di palestinesi hanno dato fuoco a copertoni e scandito slogan contro il carovita, puntando il dito contro Israele e, aggiunge qualcuno, anche contro la polizia di Hamas che non fa abbastanza contro il mercato nero.

Gli attacchi israeliani e i combattimenti vanno avanti mentre da settimane non si fa altro che parlare di una «tregua imminente». In 24 ore sono stati uccisi 76 palestinesi. Otto attacchi hanno fatto vittime in altrettante famiglie di Gaza. Morti e feriti in raid aerei nell’area di Abu Holi, a sud di Deir al-Balah, e per i colpi sparati dall’artiglieria israeliana contro le case nella zona di Wadi Gaza. Sei uccisi e 22 feriti a Gaza city. Sette corpi senza vita sono stati portati all’ospedale Al Aqsa a Deir Al-Balah. Il ministero della Sanità di Gaza ha annunciato che il numero delle vittime dal 7 ottobre è salito a 29.954 uccisi e 70.325 feriti. In Cisgiordania non va molto meglio. Ieri all’alba ennesimo raid israeliano, con jeep, mezzi blindati e droni, nella città di Jenin e il suo campo. Poi sono intervenute le ruspe che hanno distrutte strade e infrastrutture alla rotonda di Al Awda e in via Martire Shireen Abu Akleh. Diversi giovani palestinesi sono stati feriti, un altro, Muhammad Al-Kanar, è stato arrestato. Israele ha detenuto più di 7.300 persone nella Cisgiordania occupata dal 7 ottobre, 35 dei quali nelle ultime ore. Si combatte anche al confine tra Libano e Israele. L’aviazione e l’artiglieria dello Stato ebraico ieri hanno colpito più volte il sud del Libano. Il movimento Hezbollah ha lanciato almeno 10 razzi verso la base militare israeliana sul Monte Meron in Alta Galilea. Un gruppo di oltre 50 giornalisti di Sky News, Bbc, Itv, Channel 4, Cnn, Abc, Nbc e Cbs ha inviato una lettera aperta a Israele ed Egitto chiedendo accesso libero e senza restrizioni a Gaza per i media stranieri e una maggiore tutela per i giornalisti palestinesi.

Scende in campo la Russia, che si offre di mediare tra Hamas e Fatah, il partito del presidente dell’Anp, Abu Mazen, nemici dal 2007. Da oggi fino al 2 marzo si svolgerà a Mosca, un incontro con 12 fazioni palestinesi finalizzato a dare vita a un governo di unità nazionale. Un esecutivo che la popolazione palestinese reclama da anni, ma che difficilmente vedrà la luce. Il ministro degli esteri dell’Anp, Riad al Malki, ha detto che «non bisogna aspettarsi miracoli». L’Anp a Mosca ci va per preparare il terreno ad un governo tecnico di cui Hamas non dovrà fare parte. A precisarlo è stato proprio Al Malki. «Ora non è il momento per un governo di coalizione nazionale…Non è il momento giusto per un governo di cui Hamas faccia parte, perché in questo caso verrà boicottato da diversi paesi, come è successo prima e non vogliamo trovarci in una situazione del genere. Vogliamo essere accettati e impegnarci nella comunità internazionale». Parole che certo non hanno fatto piacere al capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che in occasione di una conferenza ha escluso che «ciò che non è stato ottenuto con la forza (a Gaza) possa essere realizzato con manovre politiche». Quindi ha chiesto finanziamenti e armi al mondo arabo, affermando la volontà del movimento islamico di continuare a combattere le truppe israeliane se non sarà raggiunto il cessate il fuoco.

Il governo israeliano risponde alle pressioni per la creazione di uno Stato palestinese accelerando la colonizzazione della Cisgiordania occupata. Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze nonché tra i leader dell’estrema destra, ha annunciato l’approvazione di un nuovo insediamento chiamato Mishmar Yehuda, a sud di Gerusalemme. L’espansione delle colonie «proseguirà con impeto», ha proclamato Smotrich. Il suo collega Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza, vuole impedire ai palestinesi della Cisgiordania di pregare sulla Spianata della moschea di Al Aqsa durante il Ramadan che inizia il 10 marzo. Una mossa, criticata anche dagli Stati uniti, che rischia di innescare proteste senza precedenti a Gerusalemme.

Non hanno registrato particolari scossoni i risultati delle amministrative israeliane svoltesi due giorni fa dopo due rinvii a causa dell’offensiva a Gaza. Ron Huldai, attuale sindaco di Tel Aviv di matrice laburista, è stato confermato nell’incarico per il sesto mandato consecutivo. Anche a Gerusalemme è risultato confermato l’attuale sindaco Moshe Lion, esponente del Likud, il partito del premier Netanyahu. La percentuale dell’affluenza alle urne è stata del 49,5%, inferiore rispetto a quella delle consultazioni del 2018. In alcune cittadine del nord il voto è stato rinviato a novembre a causa del conflitto al confine con il Libano.

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