Cercas, manuale di distruzione per un nido di nobili
Scrittori spagnoli La «novela negra» «Il castello di Barbablù» conclude la trilogia della Terra Alta con la quale Javier Cercas ha impresso un drammatico cambio di traiettoria alla sua produzione letteraria: da Guanda
Scrittori spagnoli La «novela negra» «Il castello di Barbablù» conclude la trilogia della Terra Alta con la quale Javier Cercas ha impresso un drammatico cambio di traiettoria alla sua produzione letteraria: da Guanda
Una qualche giustificazione del cambio imposto da Javier Cercas alla sua parabola letteraria sembrerebbe trovarsi a metà di «If», la poesia di Rudyard Kipling citata integralmente nell’epilogo del suo ultimo romanzo, Il castello di Barbablù (traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, pp. 415, € 19,00): «Se riesci a fare un gruzzolo di tutte le tue vincite/ e rischiarle in un sol colpo a testa o croce,/ e perdere e ricominciare tutto dal principio… tua è la terra e tutto ciò che è in essa».
«Ricominciare tutto dal principio» è forse una formulazione esagerata per lo scrittore spagnolo, ma se è vero che anche questi suoi ultimi personaggi sono attratti dai dilemmi ai quali Cercas si è sempre mostrato interessato – la tensione tra desiderio di vendetta e senso di giustizia, e il rapporto ambiguo tra questa e l’aletheia, la verità intesa come «disvelamento» sia da un punto di vista etico che estetico – è tuttavia evidente che ora questi temi restano sullo sfondo come meri pretesti, mentre la messa a fuoco è completamente assorbita da una trama poliziesca minuziosissima, tanto da consentire di ascrivere il romanzo al «police procedural», sottogenere del noir oggi nuovamente in voga.
Un autore diverso
Quando Cercas, ormai alcuni anni fa, annunciò di essersi trasformato in «uno scrittore diverso», in molti si industriarono a trovare nelle prime prove del suo nuovo corso una segreta continuità di idee, stile, temi ricorrenti nella sua vecchia maniera. Giunti, con questo libro, alla conclusione della trilogia noir cominciata nel 2019 con Terra alta e proseguita nel 2021 con Indipendenza, anche ai più benevoli sostenitori del «nuovo» Cercas l’accostamento con l’autore di Soldati di Salamina, Anatomia di un istante e L’impostore sembrerà quantomeno improprio.
Il castello di Barbablù si lascia ossessionare dai dettagli della indagine, che ruota attorno alla sparizione della figlia del protagonista, l’ex poliziotto catalano già al centro dell’azione nei precedenti romanzi di Terra Alta, nel frattempo divenuto un mite bibliotecario.
Il lettore viene edotto sui passaggi necessari ad attivare i corpi di polizia competenti, sulle tecniche di intercettazione, sulle autorizzazioni giudiziarie, sulla composizione dell’organico nelle caserme, e si ritrova così a metà libro, quando la ragazza torna alla luce inspiegabilmente e in stato di shock, fatto che vanifica il dispiegamento di forze e di pagine necessario ad arrivare a quel momento.
Si scopre allora che a Maiorca, dove è avvenuta la sparizione, c’è la villa di un magnate svedese, il «Barbablù» del titolo, che attira nel suo castello giovani donne per seviziarle e sottometterle alle proprie perversioni.
La seconda parte del romanzo segue l’organizzazione e la messa in atto di una operazione di polizia «informale», una incursione con tanto di tute nere, mitragliatori, raggi laser e sistemi d’allarme inespugnabili, nella villa di Barbablù, dove potrebbero celarsi le prove delle sue malefatte.
La narrazione procede fluida verso un finale cristallino e rassicurante (che lascia intravedere già la possibilità di una prossima «puntata»), elemento per il quale l’autore sembra attingere alla tradizione del feuilleton con ricercata leggerezza. Più in generale, Cercas si muove sotto gli auspici del romanzo ottocentesco, dissimulando nel racconto riferimenti più o meno espliciti a Hugo, Turgenev, e Dumas, oltre che all’amato H.G. Wells: il protagonista è appassionato lettore dei Miserabili (che faceva da palinsesto narrativo al precedente capitolo della saga) e nel corso delle peripezie intorno al castello maiorchino non manca di portare con sé una copia del Nido di nobili.
La trilogia è ambientata in un futuro prossimo nel quale eventi politici drammatici hanno segnato la Catalogna. In questo terzo capitolo – siamo nel 2035 – l’azione si divide tra la Terra Alta e l’isola delle Baleari, che il narratore descrive come un microcosmo sordido, solcato da trame di esasperata corruzione, ciò che tuttavia non sembra bastare a iscrivere il romanzo a una «riflessione sul potere», come pure è stato fatto all’uscita del libro in Spagna. E anche la spiritosa evocazione tra le pagine del romanzo, di un certo «Javier Cercas», personaggio-autore di una serie di libri che, nell’universo romanzesco, raccontano le vicende vissute dai personaggi ai personaggi stessi, non è che un rapido divertissement senza alcuna implicazione metaletteraria.
Eroi e no
Il castello di Barbablù vive e si esaurisce tutto, in realtà, nelle azioni dei suoi poliziotti, pronti a violare la legge e a farsi impallinare pur di rendere il mondo un posto più pulito. In una recente intervista rilasciata a «El País» in occasione dell’uscita spagnola del libro, pronunciandosi sul ritorno delle guerre in Occidente, Cercas ha dichiarato di «sognare un mondo senza eroi». Del resto, proprio lui ci ha insegnato che l’eroe è innanzitutto il frutto di una cattiva letteratura, e se da qualche parte si deve ricominciare, a compensazione della nostra sconcertante attualità, meglio dunque farlo andando alla ricerca di una letteratura senza eroi.
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