Visioni

C’era una volta a Hollywood… tra svendite e celebrazioni

«C’era una volta a Hollywood...» di Quentin Tarantino (2019)«C’era una volta a Hollywood...» di Quentin Tarantino (2019)

Cinema Mentre Paramount Pictures potrebbe passare di mano, si festeggiano i cent’anni della Columbia. La storia degli studios ormai in declino, le vette e i punti di svolta

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 10 giugno 2024

Il MoMA ha annunciato l’altro giorno, una retrospettiva dedicata alla produzione Paramount degli anni settanta – la decade in cui lo studio, timonato da Bob Evans, aveva centrato l’aria del tempo con film come Il Padrino, I tre giorni del Condor, Chinatown, Perché un assassino, che catturavano le contraddizioni dell’America del Vietnam e di Watergate confezionandole in prodotti forti dell’energia di nuovi autori, come Coppola, Roman Polanski e Alan Pakula, ma patinati di quel glamour che nell’era pre streaming, solo una Major poteva permettersi. Oggi l’ombra di sé stessa, (è essenzialmente identificata con Tom Cruise) e sul mercato da anni, seppure non «ufficialmente», la Paramount Pictures (insieme al gruppo Paramount Global) sta per essere venduta. Nell’ipotesi più probabile, secondo un merger che la annetterebbe a Skydance Media, la casa di produzione di David Ellison, finanziata da suo padre Larry, fondatore del gigante informatico Oracle.

«Accadde una notte» di Frank Capra (1934)

TRA GLI ALTRI acquirenti possibili, sono il fondo d’investimento Apollo e la Sony, l’unica Major rimasta senza un suo canale streaming e quindi a difendere suo malgrado la distribuzione in sala. Nel caso fosse lei a prevalere, Sony ha già lasciato intendere che metterà in vendita la parte immobiliare della Paramount, e cioè il lot su Melrose Avenue, quello con il leggendario doppio arco, con il rischio che, come quello della Fox dopo la vendita alla Disney, il complesso di teatri di posa, magazzini e uffici che tradizionalmente costituisce il cuore nevralgico dello studio, oltre che la sua sede fisica, venga completamente snaturato.

MENTRE HOLLYWOOD si appresta quindi a perdere un altro pezzo della sua Storia, a partire dal gennaio scorso, il grande passato della Sony viene celebrato con una serie di omaggi e retrospettive, in Usa e non. Dopo quelli di Disney (passato abbastanza in sordina sui grandi schermi) e WB (amplificato dalla nuova gestione dello Studio) è infatti la volta del centenario della Columbia Pictures (acquistata da Sony nel 1989). Fondata nel 1924 dai fratelli Harry e Jack Cohn insieme a Joe Brand, la sua prima sede situata su Poverty Row, la zona di Hollywood intorno a Gower Street, dove erano raggruppate le produzioni di serie B, la Columbia era considerata (insieme a Universal e United Artists) una delle «piccole tre» major (Twentieth Century Fox, MGM, Paramount, RKO e Warner Bros erano le «grandi»).

«Aule turbolente» di Spike Lee (1988)

E LA STORIA del suo periodo classico – sotto l’imprimatur di Harry Cohn, alle redini della produzione per trentaquattro anni, è identificata con efficaci e dinamiche produzioni a basso costo. Frank Capra, negli anni Trenta, fu il regista che la mise sulla mappa della qualià con film come Accadde una notte (il primo film della storia a vincere in tutte e cinque le principali categorie degli Oscar, nel 1937), È arrivata la felicità e Mr. Smith va a Washington. Nella stessa decade, alle lussuose commedie sofisticate di MGM e Paramount, la Columbia rispondeva con lo spirito più abrasivo e sovversivo delle screwball – tra cui capolavori del genere come La signora del venerdì, Ventesimo secolo, Avventurieri nell’aria – diretti da Howard Hawks – e L’orribile verità di Leo McCarey.

E, se la Warner Bros. aveva catturato l’essenza della Grande depressione nel realismo viscerale della sua produzione di gangster film, la Columbia trasse ispirazione dalle ombre inquiete e dalle insicurezze del dopoguerra per una serie indelebile di noir, a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Alcuni erano produzioni di serie A dirette da autori importanti come Fritz Lang (Il grande caldo, La bestia umana), Charles Vidor (Gilda) Nicolas Ray (Il diritto di uccidere) e Orson Welles (La signora di Shanghai) e interpretati da alcune tra le principali star dello studio – Humphrey Bogart, Glenn Ford, Rita Hayworth e Gloria Grahame. Altri, meno levigati, ma di grande forza contundente, con un’allure true crime, venivano dai ranghi ipercreativi della squadra di registi B della Columbia – Joseph B. Lewis, Phil Karlson, Gordon Douglas, Jaques Tourneur e Irvin Lerner. Dopo il decreto Paramount che, nel 1948 mise fine all’integrazione verticale delle Majors, svincolando produzione e distribuzione dalla proprietà delle sale e cambiando per sempre il funzionamento industriale degli Studios, gli anni Cinquanta alla Columbia vedranno emergere anche produzioni di qualità come Niente di nuovo sul fronte occidentale, Il ponte sul fiume Kwai, Lawrence d’Arabia, portati allo Studio dal produttore indipendente Sam Spiegel. Dottor Stranamore è del 1962. Easy Rider del 1968. Il post Cohn (morì nel 1958), come per le altre Majors, segna il passaggio alla fase delle corporation.
Uscirà targato Sony, nel 2019, quello che è ad oggi uno dei film più belli sulle fine degli studios, C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino.

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