Europa

«Con il Ceta cediamo diritti agli investitori a scapito delle democrazie nazionali»

«Con il Ceta cediamo diritti agli investitori a scapito delle democrazie nazionali»Una protesta contro il Ceta organizzata dal Council of canadians a Parliament Hill, la sede del parlamento canadese a Ottawa. Sotto Sujata Dey

Intervista all'attivista del Council of canadians Sujata Dey, giornalista e militante canadese, punta il dito contro i tribunali d’arbitraggio che permettono alle multinazionali di perseguire gli Stati qualora nuove politiche pubbliche ne limitassero i profitti

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 16 febbraio 2017

A Ottawa il trattato di libero scambio fra Canada e Unione europea ha ricevuto il voto positivo dalla Camera dei comuni ma non ancora dal Senato. Il premier canadese, Justin Trudeau, ha tutti i numeri per questo ultimo passaggio legislativo, «avvenuto in assenza di un vero dibattito pubblico» denuncia il Council of canadians, la più importante organizzazione non governativa canadese. Sujata Dey, giornalista e attivista canadese, che dell’associazione no profit fa parte, parla di «pericolo per la democrazia» e punta il dito contro i tribunali d’arbitraggio (Isds). «Una problematica che abbiamo già visto con l’Aléna», il trattato di libero scambio fra Messico, Usa e Canada.

 

Sujata Dey

 

Qual è il sentimento dell’opinione pubblica canadese rispetto al Ceta?

Il Ceta ci è stato venduto come un accordo che produrrà ricchezza. Secondo il nostro governo ci saranno 80 mila nuovi posti di lavoro. Naturalmente studi indipendenti, come quello della Tufts University, denunciano invece la perdita di 23 mila posti di lavoro.

È presente anche in Canada un movimento d’opposizione al Ceta?

C’è una forte opposizione a questo accordo. La società civile, le sigle sindacali, i movimenti ambientalisti sono contro questo trattato. I sindacati canadesi sono preoccupati dalla liberalizzazione dei servizi pubblici. Sono oltre 80 le municipalità che hanno adottato provvedimenti per proteggersi dal Ceta.

L’Aléna (o Nafta) è in vigore in nord America dal ’94. Quali sono state le conseguenze?

Con l’Alena abbiamo assistito a una crescita economica, ma anche a una degradazione delle condizioni di lavoro. I redditi sono stati colpiti dalla stagnazione e abbiamo perso il 45% delle piccole attività agricole, nonostante le esportazioni siano triplicate. Abbiamo inoltre constatato 39 appelli all’Isds, le corti d’arbitraggio fra Stati e investitori, le quali permettono agli investitori di perseguire gli Stati qualora nuove politiche pubbliche ne limitassero i profitti. Per i due terzi si tratta di politiche di protezione dell’ambiente.

Esiste un vero pericolo per la democrazia?

Assolutamente sì. Con il Ceta cediamo molti diritti agli investitori a scapito dei diritti dei cittadini e delle democrazie nazionali. In questo contesto, i governi abbandonano tutti gli strumenti in difesa dell’interesse pubblico, necessari a proteggere i propri cittadini e l’ambiente.

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