Il Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi ha approvato ieri il decreto per accorpare elezioni europee e amministrative. Al contrario di quanto era trapelato, il testo contiene anche il sì al terzo mandato dei sindaci per i Comuni fino a 15mila abitanti. Si tratta di una richiesta che era stata avanzata dalla Lega e che nelle scorse settimane sembrava essere stata accantonata. Da Fratelli d’Italia e Forza Italia, tuttavia, continuano a ribadire che la deroga per i sindaci dei piccoli centri non è un antipasto di una riforma più ampia. E che dunque il nulla osta al terzo mandato non arriverà per i presidenti di Regione.

A PROPOSITO dei quali, nel rispetto dell’autonomia degli enti territoriali, il dispositivo uscito ieri da Palazzo Chigi concede la possibilità di unirsi al voto per il parlamento di Strasburgo e Bruxelles nel fine settimana dell’8 e 9 giugno prossimi. Sicuramente è il caso del Piemonte, che calendario alla mano ha poche altre possibilità. Non dovrebbe essere così per la Basilicata, dove alle questioni tecniche si sovrapponevano difficoltà di carattere politico. Nei giorni passati, infatti, sembrava che il cambio di cavallo in Sardegna (dove la destra ora candida il FdI Truzzu invece di Christian Solinas) dovesse produrre conseguenze anche da quelle parti. Così non è: la ricandidatura del forzista Vito Bardo appare più forte e il presidente uscente adesso dovrebbe convocare le elezioni per il 14 aprile. Da qui discenderebbe anche il (parziale) contentino ai salviniani per il terzo mandato. Sul fronte dei sindaci si fa avanti anche l’Anci. «Diventa inevitabile andare fino in fondo, estendendo i mandati anche per i sindaci dei comuni sopra ai 15 mila abitanti – dice il presidente Antonio Decaro – Una volta chiarito che solo gli elettori devono avere il diritto di giudicare i propri sindaci, una disparità di trattamento nei confronti di soli 730 comuni più grandi, sul totale dei 7896 comuni italiani, appare davvero incomprensibile, e probabilmente anticostituzionale». Va detto che si sono fatte sentire anche le province, visto che giace, seppure in uno stadio avanzato, il progetto per ristabilire l’elezione diretta dei consigli e dei presidenti

IL CDM HA licenziato anche il settimo decreto attuativo della riforma fiscale. Da una parte, si decide che l’amministrazione finanziaria non potrà emettere atti se non previo confronto con il contribuente. Dall’altra si apre al concordato preventivo biennale, che riguarda oltre 4 milioni di contribuenti a partita Iva forfettari. «A questi soggetti verrà fatta una proposta da parte dell’amministrazione finanziaria in modo da metterli in condizione di uscire dal mondo di non correttezza dei rapporti tributari – annuncia il il viceministro dell’economia Maurizio Leo – Entro il 15 ottobre i contribuenti potranno aderire alla proposta». Proteste dall’opposizione e critiche dalla Cgil. «L’evasione sfiora i 90 miliardi di euro all’anno e la propensione ad evadere il fisco di autonomi e imprenditori è stimata dal Mef al 70% – dicono dal sindacato – Ed è proprio a loro che il governo offre la possibilità di concordare un reddito su cui pagare le imposte nei successivi due anni, compreso chi è considerato poco affidabile secondo le tabelle degli Indicatori sintetici».

IL GOVERNO ha poi dato l’ok al decreto attuativo della delega sulle politiche in favore delle persone anziane, in base al quale dal prossimo anno circa 25 mila anziani ultraottantenni non autosufficienti, con un livello di bisogno assistenziale gravissimo e con un Isee inferiore a seimila euro, si vedranno più che raddoppiato l’assegno di accompagnamento: attualmente è di 531,76 euro e si passerà a 1380 euro da poter spendere per pagare badanti o assistenti familiari o altri servizi. La misura era già contenuta in una riforma del settore del governo Draghi: ma si tratta di una sperimentazione limitata a due anni e per una platea ristretta. Se si dovesse allargare a tutti quelli che attualmente ricevono l’assegno, occorrerebbero più di 16 miliardi all’anno.

DAL CONSIGLIO dei ministri è uscito infine un disegno di legge predisposto in seguito alle polemiche legate alle attività della influencer Chiara Ferragni, già multata dall’Antitrust e ora sotto indagine per truffa aggravata: bisognerà spiegare quanto dei proventi andrà a finanziare progetti di beneficenza.