Visioni

Carolyn Carlson, tra poesia e danza nel respiro della natura

Carolyn Carlson, tra poesia e danza nel respiro della naturaCarolyn Carlson a Perugia per Umbria Danza Festival – foto di Claudia Ioan

Danza Incontro con la danzatrice e coreografa americana omaggiata nelle giornate dell’Umbria Danza Festival

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 luglio 2023

Una bambina di fronte all’Oceano, in piedi, incantata dal fluire ininterrotto delle onde. Una ventenne nella New York dei figli dei fiori, che si innamora dell’unicità dell’improvvisazione nella danza. Uno sguardo sul mondo attraverso il filtro intimo, luminoso della poesia, tracce d’inchiostro nero apparse su un foglio bianco. Una donna, un’artista in cui brilla nel movimento la ricchezza dell’istante. Festeggiare Carolyn Carlson quest’anno ha un sapore speciale: classe 1943, l’artista, omaggiata all’ Umbria Danza Festival, sarà di nuovo in Italia il prossimo febbraio con l’immaginifico The Tree (Fragments of poetics on fire), l’ultima creazione per la sua compagnia formata da danzatori a lei fedelissimi come la preziosa Sara Orselli. Incontrare Carlson, vederla insegnare, è un invito a immergersi ogni volta nella visione di un ciclo vitale che, attraverso il movimento perpetuo di cui la danza può essere tramite, accomuna il tutto, qualcosa in cui le singole biografie delle persone, con le gioie, i dolori, le fragilità e i momenti di luce, possano trovare un senso a se stesse superiore.

DANZA, COREOGRAFIA, calligrafia, poesia, pedagogia si intersecano nell’arte di Carlson seconda una dinamica spazio-temporale piena di sincronismi, di temi che ritornano trasformandosi esteticamente di creazione in creazione. Essere partecipi, danzando, della poesia che possiamo trovare dentro di noi, sentire che nel movimento ci sono solo due azioni: dare e prendere, uno scambio di energia tra interno e esterno che ci rimette in collegamento con il respiro della natura.
Una master class e l’ultima creazione che rivedremo a febbraio «The Tree (Fragments of poetics on fire)»

«Sono nata in California» racconta Carlson «intorno alla casa dove abitavamo, avevamo da una parte la foresta, dall’altra l’oceano. Nella foresta c’era un salice piangente che mi incantava: avevo dieci anni e chiesi ai miei due fratelli: “possiamo camminare molto lentamente intorno a questo grande albero?”. Mi seguirono. I ricordi di quel periodo sono sempre con me. Da bambina guardavo le onde per ore, onde immense che si alzavano, si frangevano, sparivano e ricomparivano in un ciclo continuo. Mi davano la percezione dell’eternità, di qualcosa senza tempo, un incredibile amore per la vita, qualcosa che non ha fine».
È l’inizio di una storia che, come ben messo in luce dalla biografia sull’artista scritta dallo psicoanalista Thierry Delcourt, Carolyn Carlson, de l’intime à l’universel (Actes Sud, 2015, un testo che sarebbe bello far tradurre in italiano), ha radici profonde nell’osservazione panica della natura e della vita, immagini concrete che diventano nella danza forme, aprendo nella creatività la via dell’immaginazione.
We are all suspended / without definition (Siamo tutti sospesi / Indefiniti): è questa una visione che per Carlson pervade il movimento, il corpo. «La poesia è qualcosa di immenso, al pubblico spetta capire cosa ci sia tra una parola e l’altra, nella sospensione. Nelle onde dell’oceano c’è la stessa dinamica che abbiamo nel nostro respiro, un’onda costante che si sospende prima di scendere e risalire».
Nel mio lavoro conta il rapporto con l’essere umano. Come è stato per Pina Bausch, amo moltissimo lavorare con le persone

Carolyn studia danza all’Università dello Utah e classico al San Francisco Ballet. «Mi ricordo un giorno a San Francisco, ero alla sbarra a fare un plié: a un tratto ho capito che quella non era la mia storia. Volevo qualcosa di diverso. Negli anni della rivoluzione hippie sono arrivata a New York, sono entrata nella compagnia di Alwin Nikolais nel 1965: era un genio, firmava coreografie, musica, costumi, luci. Da lui ho scoperto il legame tra improvvisazione e composizione. Nikolais non lavorava mai sui passi, ma sulle idee, sul movimento perpetuo, sulla forma, sul tempo e lo spazio. All’Università avevo studiato poesia e filosofia, amavo già allora Gaston Bachelard (più di un suo testo ispirerà successivamente in Francia i lavori di Carolyn, ndr.) Nikolais era la scelta perfetta».

CARLSON resta con il padre del Multimedia per sette anni, è con lui che in Francia, danzando Tent e Imago, rivela il suo talento. «In Francia, mentre danzavo con Nikolais» prosegue «vidi per la prima volta il lavoro di Bob Wilson. Cinque ore en ralenti, un lavoro incredibile, capii che era il momento di sviluppare qualcosa di mio». Carlson lascia Nik (alla cui pedagogia resterà sempre però fedele) e si trasferisce in Europa. Rivoluzionari i primi anni francesi di Carolyn: nel prezioso documentario del 1977, Karma One, diretto da Alain Mayor, si è investiti dallo spirito di sperimentazione che Carolyn, insieme al suo compagno di allora John Davis, mise in atto con il GRTOP (Groupe de Recherches Théâtrales de l’Opéra de Paris) voluto dall’illuminato amministratore generale dell’Opéra, Rolf Liebermann. Da Karma One: «Come vivo il momento in cui danzo? Come quello in cui vivo di più. Uno stato spirituale che ha qualcosa di divino, che mi ricollega all’infanzia, alle forze universali, all’unicità».

Carolyn Carlson durante la master class perugina, foto di Claudia Ioan

VEDIAMO una giovanissima Carolyn danzare, provare, insegnare tra Avignone, Aix-en-Provence, Arles, con lei Larrio Ekson, Jorma Uotinen… Una meraviglia. Come dimenticare d’altronde i tre artisti insieme nel 1979 nella prima assoluta di The Trio al Nazionale di Milano su invito del Teatro alla Scala?
L’amore per l’Italia e gli italiani sboccia nel 1980, quando inizia l’avventura a Venezia del Teatro Danza La Fenice Carolyn Carlson. «In Italia il mio lavoro è cambiato, ogni cosa è diventata più organica, più calda, influenzata dal temperamento degli italiani, quel senso di famiglia, di vicinanza. Danzatori e persone meravigliose, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi… A Venezia ho concepito uno dei miei assoli più conosciuti, Blue Lady, a Venezia ho avuto mio figlio Aleksi, è uno spettacolo sulle fasi della vita. La vecchia signora in nero, la donna in giallo che è la giovinezza, l’abito lunghissimo in rosso che per me rappresenta la nascita, il blu… Mi ricordo ancora quando a un mercatino di abiti usati a Roma, ho raccontato al venditore la mia idea del pezzo, lui mi ha vestito ed è nato lo spettacolo».
Blue Lady è uno dei tanti assoli spartiacque nella carriera di Carolyn, pause di solitudine dalle creazioni collettive: rinascerà al maschile negli anni Duemila per il danzatore finlandese Tero Saarinen.
La musica è di René Aubry, padre di Aleksi (anche lui musicista), autore di indimenticabili partiture per Carlson tra cui Signes, capolavoro firmato nel 1997 per i ballerini dell’Opéra di Parigi con scene e costumi del pittore Olivier Debré, tornato in scena per un mese con grande successo quest’estate all’Opéra Bastille. Uno tra i più di 100 titoli di Carlson nati tra Roubaix, Parigi, Venezia tra la Fenice e la Biennale, e il resto del mondo. Emblemi di poesia visiva da Eau, Now, Crossroad Synchronicity, The Tree per la sua compagnia agli assoli come Mandala per Sara Orselli o a Islands con i danzatori in erba del Cannes Jeune Ballet. «Nel mio lavoro conta l’incontro con l’essere umano. Come è stato per Pina Bausch, amo moltissimo lavorare con le persone, sono loro che ti ispirano, che ti fanno scoprire qualcosa che non sapevi avresti trovato. È l’unicità dell’individuo».

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