Italia

Carnia, la prima repubblica partigiana

Carnia, la prima repubblica partigianaCarnia libera foto scattata a Clauzetto (Udine) nel ’44 in occasione di una riunione dei Gruppi di Difesa della Donna

Resistenza Nel luglio del ’44 la lotta antifascista liberò una vasta zona prealpina ed elesse un’amministrazione democratica. Il ruolo delle donne. Tre mesi dopo però i nazifascisti rioccuparono il territorio e lo diedero ai cosacchi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 aprile 2022

Le donne al voto ed era la prima volta. Ogni paese eleggeva il suo sindaco, la vita riprendeva e votavano tutti i capifamiglia, anche le donne se ricoprivano quel ruolo. La Carnia era libera, dopo un inverno duro e freddo e gli attacchi partigiani alle linee ferroviarie, ai ponti, alle colonne di blindati, dopo i rastrellamenti, gli scontri in montagna e nei boschi. Tedeschi e fascisti si erano ritirati, solo un comando presidiato a Tolmezzo. Nel luglio del 1944 un vasta zona prealpina era saldamente in mani partigiane: 90.000 persone, quaranta paesi nelle valli del Cellina e del Meduna, in Val Tramontina, la Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli si estendeva per 2.580 kmq, la prima e la più grande Repubblica partigiana d’Italia.

ERA SEMBRATO IL MOMENTO di rimodulare la lotta antifascista: le zone libere avrebbero significato riabilitare l’Italia agli occhi del mondo e un banco di prova per quella che sarebbe stata la nuova classe dirigente. Ad Ampezzo, il Governo del territorio liberato organizzò i propri Ispettorati con precisi obiettivi: separazione tra potere politico e militare, libere elezioni comunali per capifamiglia, calmiere sui prezzi dei generi alimentari di prima necessità, riforma scolastica, costituzione di un Tribunale del Popolo, abolizione della pena di morte, gratuità dell’amministrazione della giustizia, riforma fiscale patrimoniale, difesa del patrimonio boschivo, costituzione di un corpo di polizia. Era, in nuce, la nuova Costituzione.

FU UN PERIODO di entusiasmo caratterizzato dalla fame: per ordine dei tedeschi non arrivavano più né stipendi né pensioni, inesistenti i generi tesserati, in una zona montana abituata a rifornirsi in pianura scambiando il legname. Fu soprattutto l’abnegazione delle donne a mitigare la situazione: attraverso i Gruppi di difesa della Donna, costruirono una rete efficacie con l’intendenza partigiana di pianura, viaggiarono di notte per approvvigionarsi tra posti di blocco, controlli, lasciapassare, dopo che le Giunte comunali avevano stabilito la quantità di grano spettante ad ogni famiglia.

MA IN AUTUNNO nuovo sangue e terrore: in ottobre i tedeschi, appoggiati da battaglioni fascisti, diedero il via all’operazione Waldläufer. Decine di migliaia di uomini penetrarono nella zona libera e poco poté la strenua resistenza di 31 battaglioni partigiani, 6.000 uomini armati solo di armi leggere. L’intera Brigata Carnia rimase bloccata e solo con una marcia forzata di tre giorni riuscì a sganciarsi e a frazionarsi in reparti più piccoli ma parecchi partigiani tornarono a casa: la neve, il gelo, la fame, il nemico incombente, sembravano invincibili. Alla fine di dicembre ’44 la Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli cessò definitivamente di esistere ma la lotta partigiana, ricostruite le sue file, continuò fino alla luminosa primavera del 1945.

CON I TEDESCHI ARRIVARONO in Carnia su treni blindati anche 5.000 cosacchi. Quando era arrivata l’ora della disfatta delle truppe dell’Asse in Russia, con le truppe tedesche in ritirata anche migliaia di cosacchi risalirono i Balcani dietro il miraggio di una terra promessa perché era stata garantita loro proprio la Carnia come nuova terra, il Kosakenland. Al seguito delle truppe organizzate, arrivarono cosacchi da ogni dove: vecchi, donne, bambini, mucche, pecore, dromedari, si parla di 60.000 cosacchi stabilitisi in Carnia alla fine del ’44. Alcuni paesi furono fatti evacuare, con la povera gente costretta ad attraversare il Tagliamento sotto una pioggia torrenziale e solo i pochi beni che erano riusciti a prendere. I cosacchi, con tutti i loro averi sui carri, erano arrivati stanchi e affamati e si buttarono a razziare gli orti e a occupare le case. Cominciò così uno strano periodo di saccheggi e violenze di ogni tipo ma, nella forzata convivenza, si può anche dire che non ci fu mai vero odio tra carnici e cosacchi: quella situazione paradossale accomunava gente sfinita, ognuno con la sua speranza di riscatto, ognuno con la voglia di vivere in pace. Ma erano comunque nemici e in quel tempo voleva dire uccidere e morire.

VINSERO I PARTIGIANI alla fine ma tedeschi e cosacchi in ritirata si lasciarono dietro l’ennesima scia di sangue e di paesi bruciati. I cosacchi, a migliaia, si incolonnarono nelle valli del Tagliamento e del But verso la Carinzia. Oltre il passo di Monte Croce arrivarono in Austria e furono fatti prigionieri dagli inglesi nella vallata vicino a Lienz dove ancora esiste una cappella con intorno qualche sepoltura. I cosacchi avevano un unico terrore: essere rimpatriati in Unione Sovietica dove certo li aspettava una vendetta implacabile. Ma avvenne proprio questo. Consegnati ai sovietici, almeno duemila tra uomini donne e bambini, pur di scampare alla deportazione, si suicidarono buttandosi nelle acque gelide della Drava.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento