Carla Lonzi, perché rileggerla è una festa del femminismo
«Così sono arrivata al femminismo che è stata la mia festa, qualcuna doveva ben cominciare, e la sensazione che mi portavo addosso che, o lo facevo io o nessuno mi avrebbe salvato, ha operato in modo che l’ho fatto io. Dovevo trovare chi ero, alla fine, dopo avere accettato di essere qualcosa che non sapevo». È il 16 agosto del 1972 ed è quanto scrive Carla Lonzi nel suo Taci, anzi parla. Diario di una femminista, edito nel 1978, ancora oggi un documento straordinario e tra i più significativi del femminismo italiano degli anni Settanta. Unico nel suo genere, contiene infatti il lavorio della pratica delle relazioni tra donne e lo svelamento delle contraddizioni, pensieri, poesie, lettere, sogni e aspettative in riferimento, anzitutto, alla propria singolare esperienza incarnata. In effetti, ogni suo singolo libro (pubblicati negli anni Settanta grazie agli Scritti di Rivolta Femminile) risponde alla necessità dettata dal dissenso verso l’immagine in cui si sentiva costretta da chi la osservava «inespressa e felice di rappresentare qualcosa, non me stessa».
L’intuizione di Carla Lonzi però, morta di cancro nel 1982 all’età di 51 anni, è ancora più esatta. L’inizio è la comparsa di una possibilità, un movimento di donne che le fa sentire di avere «tutto pronto», si accorge che l’automatismo della identificazione le aveva fatto consumare «un’infinità di energie»; niente sarebbe stato lo stesso senza la relazione con le compagne di Rivolta Femminile. Carnalmente esistente dunque, sia pure nella parzialità del contesto materiale e storico da cui ha agito, è cruciale, per chiunque e non solo per le donne, avere ancora oggi la possibilità di leggerla.
DOPO ANNI in cui la sua produzione era ormai fuori commercio, il progetto di ripubblicazione era stato ripreso dall’editore Et al che dal 2010 al 2012 aveva dato alle stampe cinque volumi (Sputiamo su Hegel e altri scritti; Taci, anzi parla; Autoritratto; Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra; Scritti sull’arte – quest’ultima una collazione postuma). Ora dobbiamo invece ringraziare La Tartaruga, perché Claudia Durastanti che ne segue le scelte editoriali ha affidato ad Annarosa Buttarelli la curatela di tutti gli scritti lonziani.
Arriva nelle librerie in questi giorni il primo libro: Sputiamo su Hegel e altri scritti che nel titolo perde la decisione di Rivolta Femminile del 1974 di tenere in copertina anche Donna clitoridea e donna vaginale, uno dei testi compresi nel volumetto, tra i più spiazzanti e che ancora oggi ci interroga su quanto riusciamo a gettare nel discredito il piacere femminile riempiendo dotte conversazioni di «desiderio» e non toccando più i corpi, sempre più immalinconiti e attorcigliati. Diversamente dalla scelta di Et al però, che al tempo aveva fatto introdurre ogni volume, nel caso della Tartaruga gli scritti di Carla Lonzi, leggiamo nella nota di Annarosa Buttarelli (filosofa, esponente di primo piano del femminismo della differenza italiano nonché responsabile del Fondo Carla Lonzi avviato nel 2018 presso la Gnam di Roma) che, questa volta, non ci saranno prefazioni. La ragione è convincente: i testi lonziani «non sopportano commenti, spiegazioni, interpretazioni che spegnerebbero la loro forza travolgente, la loro intensa, parlante presenza».
Insieme al diario del 1978 e a Vai pure (1980), Sputiamo su Hegel (titolo che Lonzi ha definito «squisitamente orale») rappresenta uno dei punti più alti mentre, il testo omonimo interno al volume, spiega lo sberleffo irriverente verso il pensiero sistematico, perché non ci deve essere reverenza verso chi ha collocato le donne come inferiori o inesistenti nel tessuto storico. È una somma provocazione che Lonzi poteva ben permettersi, scrittrice e lettrice colta, pensatrice finissima oltre che critica d’arte acclarata che poi abbandona quel mondo perché il riconoscimento attribuitole era interno a un processo di produzione maschile, narcisistico e inservibile.
Composto da testi pubblicati da Rivolta femminile tra il 1970 e il 1972 e successivamente riuniti nel 1974, Sputiamo su Hegel, sia per ciò che ha firmato Lonzi sia per ciò che è stato firmato collettivamente, è l’itinerario delle singole tappe di una personale e politica presa di coscienza. Lo definirà, nel valore che si dà agli inizi liberatori, come ciò che è stato l’Inferno per Dante, un primo stadio.
IN APERTURA, il Manifesto di Rivolta Femminile (luglio 1970), procede per frasi brevi, asciutte e taglienti in cui il tema di fondo è la liberazione radicale della donna intesa come soggetto che «non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario». La decostruzione è dei nodi del patriarcato, trappola che non ha concesso un pieno affrancamento dalla cultura maschile rendendo la donna spettatrice muta di una storia mutilata che non le appartiene. Si rifiuta il matrimonio; si denuncia la discrasia del pensiero maschile come unilaterale, in particolare rispetto alla dialettica servo-padrone, «regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale». Ci si smarca dal principio di uguaglianza e si annuncia infine il separatismo.
Uno dei testi più controversi è Sessualità femminile e aborto, nel luglio del 1971 rappresenta una delle prime prese di parola pubblica sull’interruzione volontaria della gravidanza, sia pure in netta discontinuità: quella che viene rifiutata è infatti una sessualità femminile slegata dal piacere e la gravidanza – talvolta – è il frutto dell’accondiscendenza all’egoismo maschile che vuole colonizzare il corpo della donna. È da qui che si comprende meglio Donna clitoridea e donna vaginale (agosto 1971), dove Lonzi dichiara che il sesso femminile è la clitoride e non la cavità vaginale, slegata dal piacere. Anche per questo, rileggerla è una festa. Come lo è il femminismo, ce lo ha detto lei.
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