Visioni

«Caridad», l’estremismo della provocazione

«Caridad», l’estremismo  della provocazioneUna scena da «Caridad» di Angelica Liddell

A teatro Il nuovo spettacolo di Angelica Liddell di scena all'Arena del Sole

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 aprile 2023

Angelica Liddell è un’artista spagnola che da qualche anno si è andata via via affermando in tutta Europa. Il suo è un teatro che al primo apparire era piuttosto contiguo alla danza, ma che invece è andato poi prendendo corpo (in senso letterale) e fuoco, si potrebbe dire, con una capacità quasi «fisiologica» di dare concretezza al pensiero, combustibile alle tradizioni di una cultura che, a partire da quella sua ispanica, si allarga tranquillamente a tutta l’Europa, privilegiandone il suo meridione ovviamente.

IL SUO ARDORE da palcoscenico, e forse la sua stessa scelta di vita, sono andati via via privilegiando una personale fede religiosa, con tutte le sue sovrastrutture, come bersaglio di lucida analisi (e scontro) ma anche come adesione a un terreno di spiritualità cui lei dà nello stesso tempo violentemente corpo. L’ultimo suo spettacolo, appena andato in scena all’Arena del Sole, Caridad, fin dal titolo evoca una delle tre virtù teologali, e nella tradizione è sinonimo di amore. Amore mistico e di fede, ma anche concretamente fisico. La sua visione del mondo le fa privilegiare i «poveri», i menomati, i perseguitati, tanto più se in nome «della giustizia». Nel suo fuoco mistico cita Bataille e Steiner, Sade e Bukowski, ma allo stesso modo la prima lettera ai Corinzi di San Paolo, e poi soprattutto il Vangelo di Matteo, che è stato notoriamente amato da Pasolini. Anzi, a citazione dal suo film, il Kirie eleison, la richiesta di pietà al Signore, echeggia potente, prima nel canone gregoriano e poi nella versione cantata nella Missa luba africana, come nel film del poeta.

Angelica Liddell

INSOMMA il filo poetico di questa Caridad non è affatto tenue, anche se alla fine suona forse «sovraccarico». Oltre alla fisiologia umana, è più arduo seguire l’evoluzione sessuale di quel percorso. Senza nessun moralismo: la nudità è innanzittuto spirituale, ma quella fisica sotto le luci del palcoscenico rischia non certo di scandalizzare, ma forse distrarre un po’ da quell’ardente percorso di fede, speranza e Caridad. Se uno dei giovanotti in scena (un ensemble stavolta numeroso e straordinario bisogna dire, differenziato per età anagrafica, ma folto e scatenato, ginnico e servizievole alle visioni di lei) si denuda e se lo mena furiosamente, prima di adagiarsi su di lei che nel frattempo pure si è denudata, è inevitabile riconoscervi immagini di consumo legate ad altri contesti.
L’estremismo della provocazione, nerbo conduttore di questa morality d’oggi, colpisce certo, ma convince meno, perché rischia di lambire quei luoghi comuni che vuol «mandare al rogo».

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