Capitalismo dei patrioti: dopo Tim, Kkr si prende un quarto di Eni
L'ad di Eni Claudio Descalzi – Foto Ansa
Economia

Capitalismo dei patrioti: dopo Tim, Kkr si prende un quarto di Eni

Privatizzazioni Altra acquisizione di una impresa pubblica da parte del fondo americano. L’ad Descalzi: «Scelta green» Ma c’è il rischio di tagli occupazionali nella chimica
Pubblicato 3 giorni faEdizione del 25 ottobre 2024

Dopo la rete Tim, ecco il 25% di Eni. Il fondo americano Kkr ormai controlla settori vitali del Belpaese, il tutto grazie al «governo dei patrioti».

Con i quasi 3 miliardi investiti ieri per Eni, il fondo Kkr ha un valore complessivo di tutte le sue partecipazioni in Italia pari a 35 miliardi di enterprise value. Dal 2018, con diverse strategie sia di private equity che di credito, ad oggi ha puntato complessivamente oltre 9 miliardi.

Se è vero che Kkr – acronimo di Kohlberg Kravis Roberts & Co, fondata nel 1976 con sede a New York – investe in Italia in diversi asset dal 2005, lo è altrettanto che negli ultimi mesi ha piazzato i due colpi più importanti, entrambi in aziende pubbliche. A luglio ha acquistato la rete fissa di Tim e l’ha integrata in FiberCop (in cui aveva investito dal 2020 circa 1,8 miliardi per il 37,5%), creando la rete a banda larga più estesa d’Italia. Un’operazione condotta dal suo fondo infrastrutturale in cordata con Adia, il fondo pensione Canadese, MEF e F2i. Anche l’acquisto Enilive è stato realizzato dal Global Infrastructure Strategy, una classe d’investimento lanciata nel 2008 e da allora diventata uno degli investitori in infrastrutture più attivi a livello globale, gestendo attualmente oltre 73 miliardi di dollari in asset infrastrutturali.

Eni e Kkr ieri hanno firmato il contratto per l’ingresso di KKR nel 25% del capitale sociale di Enilive. Il corrispettivo complessivo convenuto è pari a 2,938 miliardi di euro, da corrispondere attraverso: la sottoscrizione di un aumento di capitale in Enilive riservato a Kkkr pari a 500 milioni di euro; l’acquisto di azioni Enilive da Eni a fronte del pagamento di 2,438 miliardi di euro, corrispondente a una valutazione pari a 11,75 miliardi di euro per il 100% del capitale sociale di Enilive. L’accordo prevede che prima del completamento dell’operazione Eni effettuerà un aumento di capitale pari a 500 milioni di euro per azzerare la posizione finanziaria netta.

Nell’esprimere la sua soddisfazione, l’ad di Eni Claudio Descalzi, oramai una collanna del governo Meloni, omette di affrontare l’argomento della cessione a un fondo estero. «L’accordo – scrive in una nota – rappresenta un nuovo e importante passo avanti nella nostra strategia di business legata alla transizione energetica.

Descalzi compie così un passo atteso nel «percorso molto largo» – come lo aveva definito nei mesi scorsi – che punta come approdo finale alla quotazione in Borsa, come anche per Plenitude. Si guarda così alle condizioni di mercato per il collocamento, probabilmente nel 2025.

Descalzi poi utilizza argomenti green per spiegare la scelta. Come previsto nel piano strategico 2024-2027, l’operazione fa parte del piano di trasformazione della chimica, anche in una ottica di decarbonizzazione. Sarà implementato entro il 2029. Prevede circa 2 miliardi di investimenti e un taglio in termini di emissioni di circa 1 milione di tonnellate di CO2, circa il 40% delle emissioni di Versalis in Italia, con nuovi impianti mentre cesseranno le attività gli impianti cracking a Brindisi e Priolo e del polietilene a Ragusa. Eni punta così ad un rilancio della profittabilità e dei livelli occupazionali per Versalis, nella chimica.

Il rischio concreto, però, è che avvenga l’esatto contrario. E che Kkr imponga tagli occupazionali.

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