Capirsi e fidarsi, da culture politiche diverse
Ricordo la prima volta che vidi, parlai, strinsi la mano a Benedetto. Me lo presentò Stefania, trent’anni fa e più. Lui era seduto a una scrivania, con uno sguardo timido […]
Ricordo la prima volta che vidi, parlai, strinsi la mano a Benedetto. Me lo presentò Stefania, trent’anni fa e più. Lui era seduto a una scrivania, con uno sguardo timido […]
Ricordo la prima volta che vidi, parlai, strinsi la mano a Benedetto. Me lo presentò Stefania, trent’anni fa e più.
Lui era seduto a una scrivania, con uno sguardo timido e intelligente. Iniziai a conoscerlo meglio qualche anno dopo. Mi chiedeva pezzi, recensioni, ricordi, ed era sempre difficile dirgli di no. Arrivai con ritardo ad affacciarmi su fb, anni dopo, e non capii subito che stavo bisticciando con lui: chi cavolo era questo Ben Olds?
Ne ridemmo. Avevamo culture politiche diverse ma ci capivamo: ci fidavamo.
Qualche anno fa mi chiese un articolo per il decennale sulla morte di Togliatti. «Ah, sei arrivato a Togliatti, finalmente!», scherzai. «Di questi tempi mi prendo tutto», rispose.
Ricordo lo speciale su Gramsci del 2017, venne al convegno che iniziava a Roma il giorno in cui fu pubblicato, curioso di vedere le reazioni. E anche di sentire le relazioni.
Ricordo l’ultima recensione che mi ha commissionato prima di natale, sul libro di Sunkara. Gli avevo proposto un libro di Togliatti da poco riedito e aveva subito accettato. Ma poi mi aveva chiesto di recensire anche il giovane fondatore di Jacobin. Pieno di lavoro, non avevo voglia di leggere anche quelle 300 pagine. «Leggilo, ti interesserà, guarda che è vicino alle tue idee».
Come al solito mi convinse. E dovetti ringraziarlo. Gli proposi più spazio per la recensione e fu d’accordo. Leggere, scrivere, far pensare: il suo lavoro, la sua passione.
Grazie Ben, grazie davvero di tutto.
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