Caos negli stabilimenti di Arcelor Mittal a Taranto. L’azienda ha prima annunciato una riduzione della produzione di acciaio e il rallentamento degli investimenti previsti e poi ha fatto marcia indietro comunicando ai sindacati il riavvio dei tre Altiforni, del Treno nastri 2, Acciaieria 1 e il richiamo del personale dalla cassa integrazione. La ragione di questa situazione schizofrenica, creata in poche ore tra venerdì e sabato, sarebbe il ritardo di Invitalia e del governo Draghi sul completamento degli assetti societari e sul rilancio industriale ed ambientale del sito. L’accordo, stipulato con il governo precedente Conte il 10 dicembre 2020, prevede il versamento di 400 milioni per l’ingresso di Invitalia nel capitale di Arcelor MIttal. Il termine del versamento della somma è scaduto il 5 febbraio scorso. La multinazionale ha fatto sapere di volersi rivolgere alla International Chamber of Commerce per un arbitrato.

«Nonostante la natura vincolante dell’Accordo, ad oggi Invitalia non ha ancora sottoscritto e versato la sua quota di capitale e quindi non ha adempiuto agli obblighi previsti dall’accordo» sostiene l’azienda. In mezzo, con un governo silente, si sono trovati migliaia di lavoratori che sono stati messi sulle montagne russe dagli annunci e dalle retromarce dell’azienda. «L’azienda – sostengono le Rsu di Fim e Fiom- ha ripristinato il numero della forza lavoro prima della variazione avvenuta nella giornata di venerdì sera». Per quanto riguarda l’appalto, al momento «riprendono solo alcune attività. Domani chiederemo all’azienda un incontro per obbligarla a rispettare gli impegni assunti con l’appalto e l’attuazione del piano ambientale». Usb chiede una «nazionalizzazione» della siderurgia tarantina:«si deve interrompere ogni relazione con ArcelorMittal, che ha ampiamente mostrato la sua inaffidabilità. Il governo deve bloccare l’attuale gestione e procedere con la nazionalizzazione della fabbrica». «Richiamiamo ancora una volta l’azienda al rispetto degli accordi siglati ed alla salvaguardia dei lavoratori e degli impianti» ( Ugl).

Di «cambio di passo» si era parlato nei giorni scorsi quando il ministro dello sviluppo Giancarlo Giorgetti (Lega) ha riaperto il tavolo delle trattative alla ricerca di«un accordo, che permetta di utilizzare i fondi disponibili, anche di ambito europeo, per i necessari adeguamenti tecnologici nel rispetto dei vincoli ambientali».«La situazione è ormai di un gravità inaccettabile. Atteggiamenti irresponsabili e tattici di tutti i soggetti possono portare alla chiusura dello stabilimento», denuncia Roberto Benaglia (Fim). Per Francesca Re David(Fiom) c’è il rischio di passare «dallo stallo ad un piano inclinato in cui mancate decisioni e scelte inaccettabili mettano in discussione sia la risalita produttiva che la ripresa della fornitura dell’acciaio travolgendo i siti di Genova, Novi Ligure e di tutto il gruppo. Il governo intervenga».