In un mondo che arde, la California rischia di trovarsi in una poco invidiabile avanguardia, vittima di un circolo vizioso ambientale fra aridità, incendi boschivi, emissioni maggiorate e progressivo riscaldamento. Frontiera per definizione, lo stato rappresenta anche un territorio di estremi, economici e ambientali, un luogo topico della scarsità di acqua alle prese da decenni coi problemi drammatici che si stanno palesando in questi giorni in Italia ed altrove. Lo stato più popoloso degli Usa comprende le grandi foreste pluviali del nord, le catene montagnose della Sierra, la pianura centrale – e l’arido terzo inferiore, in cui si concentra più della metà degli abitanti. In questa regione para-desertica vivono 25 milioni di persone, insediate in una zona che dal deserto del Mojave si estende alla macchia mediterranea di una fascia costiera che potrebbe scambiarsi per il meridione italiano o la Sardegna. Con la colonizzazione bianca a metà ottocento è iniziato un boom demografico mai veramente allentato in 180 anni e reso possibile solo da massicci interventi di ingegneria ambientale. In particolare la «bonifica idrica» gestita dal Bureau of Reclamation ha avuto il compito di rifornire di acqua il nuovo territorio incanalandola dal Colorado River, il fiume che dalle montagne rocciose raggiunge il golfo di California, in Messico.

Il grande corso d’acqua che gli indiani chiamavano Lapay’ha – «acqua rossa» – è scorso indisturbato per milioni di anni dalle Montagne Rocciose fino al Golfo di Cortez, scavando nel tragitto il solco del Grand Canyon. Oggi è dirottato in centinaia di acquedotti e prese d’acqua che lo hanno ridotto a poco più di una conduttura di irrigazione. Le grandi opere come le dighe Hoover e Glen Canyon sono simboli stessi della potenza economica americana capace di piegare la stessa geografia alla volontà dello sviluppo.

PER RIPARTIRE QUOTE DI ACQUA PROVENIENTI da nevi e ghiacciai secondo il fabbisogno di ognuno è stato sottoscritto nel 1922 il Colorado River Compact, un trattato fra California, Wyoming, Nevada, Arizona, Colorado e Nuovo Messico che assegna ancora oggi oltre il 70% dell’acqua all’agricoltura industriale che ha trasformato aride distese in serre intensive per al produzione di raccolti, spesso di varietà particolarmente assetate e lucrose come le mandorle, i meloni e l’erba medica per il bestiame. Per produrre il 98% dei broccoli, il 97% delle mandorle, il 89% delle prugne e quasi la metà della frutta e ortaggi per il resto della nazione (per un fatturato di oltre 50 miliardi di dollari) il paniere californiano consuma l’80% dell’acqua dello stato. Oggi, dopo oltre un secolo di sviluppo che ha ignorato le caratteristiche del territorio, sull’illimitato ottimismo del sogno californiano si allunga un’ombra. Non sono più solo le avverse caratteristiche morfologiche a limitare la crescita ma il fatto che queste stanno rapidamente cambiando per il peggio. Un rapporto stilato dalla University of California di Los Angeles ha individuato l’attuale periodo di siccità che perdura da 22 anni come il più drastico da quello verificatosi fra il 1571 e il 1593. L’equipe della Ucla ha studiato gli anelli di 30 mila alberi secolari per misurare i livelli storici di umidità del suolo. «A causa del mutamento climatico stiamo attualmente sopravanzando quelli che sono sempre stati considerati scenari più negativi in assoluto», afferma il professor Park Williams, autore dello studio che definisce la situazione attuale una «megadrought». E le conseguenze sono proporzionali. Questa settimana il Bureau of Reclamation, a un secolo dalla sua firma, ha convocato i sette stati del Colorado Compact in vista di quelli che saranno le maggiori riduzioni nelle rispettive quote della sua storia.

GLI SCORSI CENTO ANNI POTREBBERO ESSERE RICORDATI come una felice anomalia. La situazione nel sudovest degli Stati Uniti sta rapidamente raggiungendo livelli di guardia. I principali bacini regionali sono da mesi al minimo storico, simili ormai a grandi pozzanghere nel deserto. In California settentrionale gli invasi di Shasta Lake e Lake Oroville registrano livelli rispettivamente del 36% e del 47% sotto la norma. Il Grande Lago Salato si è ridotto del 40% e una sua definitiva evaporazione potrebbe dar luogo a pericolose nuvole di polveri sottili che minaccerebbero la vicina capitale dello Utah. La riserva regionale di acqua, congelata in forma di neve sulle pendici della Sierra Nevada, è ormai praticamente anch’essa esaurita.

QUESTO MESE IL GOVERNATORE CALIFORNIANO Gavin Newsom ha annunciato misure di razionamento sull’uso privato di acqua. Dal primo giugno è vietato innaffiare più di due giorni a settimana, non oltre otto minuti alla volta. Vietato altresì lavare le auto con acqua del rubinetto, chi ha la piscina deve obbligatoriamente coprirla per ridurre l’evaporazione. L’adempienza verrà monitorata dalle agenzia dell’acqua e le infrazioni sanzionate dopo un primo avvertimento; per i recidivi è prevista perfino una riduzione del volume di erogazione mediante apposito dispositivo apposto alle tubature. Accanto agli obblighi e divieti è stata messa in campo una massiccia campagna di informazione e persuasione per massimizzare la conservazione. La durata consigliata per le docce è di non oltre 5 minuti e si consiglia di farla muniti di recipienti per raccogliere acqua con cui annaffiare le piante, è incoraggiata la sostituzione dei prati con vegetazione autoctona, adattata alla scarsità. Si tratta, ha precisato il governatore di misure di prima fascia, che potrebbero essere ulteriormente inasprite. Passi necessari, ma non sufficienti, ha aggiunto, a risolvere un problema destinato in futuro solo a peggiorare.

Di più difficile soluzione invece la questione agricola. Come suggerisce il numero sempre maggiore di campi abbandonati nella Central Valley per esaurimento dei pozzi, questa dovrà forzatamente comprendere un ricalibro del tipo di prodotti coltivati in base al fabbisogno di acqua e nel rispetto delle condizioni locali, ad esempio un ridimensionamento dell’allevamento intensivo di manzo e della sua sete smisurata e sempre meno sostenibile. Nelle parole di Chris Field, direttore del Woods Institute for the Environment di Stanford, «qui le siccità fanno parte del ciclo storico, ma il trend è chiaramente negativo. Dovremo trovare modi per vivere entro i parametri sempre più stretti del mondo in cui viviamo». In quel mondo le temperature medie sono salite di quasi un grado e mezzo dal 1850, i dieci anni più caldo dal 1880 si sono registrati tutti dopo il 2005. E l’acqua illimitata su richiesta rischia di diventare un lusso d’altri tempi.