ExtraTerrestre

Caltagirone, il bosco sotto attacco

Storie Il Bosco di San Pietro è una riserva naturale, ma solo sulla carta. Un’associazione locale si batte per tutelarlo dal cemento e dalle speculazioni

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 30 agosto 2018

Tra le attuali 72 riserve naturali regionali esistenti in Sicilia, la seconda per dimensione risulta quella del Bosco di Santo Pietro, con oltre 6.500 ettari di superficie, ricadenti in prevalenza nel comune di Caltagirone e in minima parte in quello di Mazzarrone (entrambi in provincia di Catania). Con la confinante Sughereta di Niscemi (altra riserva naturalistica) costituisce l’ultima propaggine di ciò che resta di un’antica foresta a macchia mediterranea, la più grande di querce della Sicilia sud orientale, che un tempo si estendeva per circa 30 mila ettari dall’entroterra calatino fino alle località costiere di Gela e Scoglitti. Le prime tracce storiche risalgono al periodo del regno normanno in Sicilia, con la concessione a Caltagirone (attestata da un documento del 1143) del feudo di Santo Pietro e altri possedimenti, fatta da Ruggero II D’Altavilla per l’aiuto che la città aveva dato ai Normanni contro i Saraceni.

La riserva del Bosco di Santo Pietro in realtà esiste soltanto sulla carta, come ci racconta il professore Renato Carella, presidente dell’associazione di volontariato ambientale Il Ramarro: «Sin dal 1987 inclusa nel piano regionale delle riserve, fu istituita nel 1999, data in gestione all’Azienda foreste demaniali della Regione siciliana e finalmente avviata nel 2000. Purtroppo dal novembre del 2006 è finita in una sorta di limbo. Qualcuno si accorse che il decreto istitutivo non era stato pubblicato nell’apposito albo». «Una banalità – prosegue il professore – un semplice errore materiale che si poteva e doveva correggere nel giro di qualche settimana. Invece, a distanza di ben 12 anni ciò non è avvenuto. La responsabilità possiamo senz’altro attribuirla ad un mix d’inefficienza, lentezza, insensibilità e scarso interesse dell’intero apparato politico amministrativo ai diversi livelli».

IL VALORE SCIENTIFICO-NATURALISTICO DEL SITO è ancora notevole. Al suo interno sono conservate oltre 300 specie botaniche e sono presenti un centinaio di specie di uccelli fra cui il picchio rosso maggiore, la ghiandaia, il gheppio e il pendolino, mammiferi come la martora, l’istrice, il gatto selvatico, la volpe e la donnola, rettili quali il colubro leopardino e la testuggine di terra. Una ricca biodiversità messa in serio pericolo anche a causa di scelte sconsiderate. Le piante indigene – ossia le varie e monumentali querce da sughero, le roverelle, i carrubi e i lecci – si sono drasticamente ridotte, via via sostituite da rimboschimenti ad eucalipto e da una ancor più assurda riconversione a pineta, realizzati da governi regionali quanto meno incompetenti con l’unico risultato di creare uno squilibrio nell’habitat. «A ciò si aggiungono altri e diversificati attacchi contro il bosco – rimarca ed elenca Renato Carella – lottizzazioni, costruzioni indiscriminate di ville, sviluppo esagerato della viabilità interna col conseguente moltiplicarsi di micro discariche e la piaga degli incendi dolosi. Tutto ciò, assieme all’incuria amministrativa, ha comportato l’aumento del degrado».

UN DEGRADO CONTRO CUI SI BATTE da 25 anni l’associazione Il Ramarro. Nata nel 1990 a Caltagirone, dal ‘93 ha avuto in affidamento dal Comune la gestione di una piccola area del bosco in contrada Renelle, 12 ettari ai quali ne sono stati aggiunti altri 5 nel 2013. Molte le attività di volontariato che vengono svolte: dalla pulizia del sito ai corsi di protezione civile e di prevenzione, dal rimboschimento alla creazione di un centro di studi e didattica ambientale, all’organizzazione di attività di formazione e di fruizione del territorio, dove resistono alcuni interessanti e affascinanti percorsi immersi nel verde. Nell’ambito del campo internazionale tenuto nella prima metà di agosto, un incontro-dibattito è stato dedicato ai danni inferti al paesaggio e al patrimonio botanico dagli incendi dolosi (l’ultimo a luglio) e a come contrastare il fenomeno. Commenta il presidente dell’associazione: «Analogamente ad altri posti, le cause ipotizzate sono diverse. Senza escludere possibili piromani e gli irresponsabili che hanno la pessima abitudine di pulire il terreno da sterpaglie e da rifiuti con il fuoco, sono da considerare gli interessi collegati all’utilizzo del pascolo e a certi codici arcaici duri a morire, nonché le eventuali colpe di qualche addetto stagionale impiegato dalla forestale; insomma, l’incendio come strumento d’intimidazione, di vendetta o di tornaconto personale. Ma non ho a riguardo notizia di indagini della magistratura. A quanto ne so, a Caltagirone è inattivo il Catasto degli incendi che, in base a una legge del 2000, stabilisce che i Comuni provvedano a una sorta di mappatura dei luoghi già colpiti dal fuoco. Resto comunque convinto che non bisogna mai darsi per vinti, e la nostra associazione cerca di dimostrarlo con la pratica. Sarebbe il caso che il comune di Caltagirone si riappropriasse del Bosco di Santo Pietro che, per molti secoli, ha rappresentato il più importante cespite di ricchezza per la città grazie alle attività agro-silvo-pastorali che ad esso erano legate».

NEL 2016 IL RAMARRO, tramite un portale di crowdfunding, ha presentato un progetto di riforestazione finalizzato al ripristino dell’antico manto boschivo della macchia mediterranea, con l’impianto di mille piante autoctone forestali certificate – principalmente querce da sughero e non – accompagnato dal progressivo diradamento di pini ed eucalipti. Per salvare il bosco e riportarlo alla bellezza del passato il rimboschimento con essenze forestali è fondamentale. L’associazione chiede che altri contribuiscano, ad esempio le poche ma significative aziende vinicole, olivicole e di ortaggi presenti in zona che potrebbero destinare una percentuale di suolo delle loro proprietà alla piantumazione di specie tipiche della macchia mediterranea.

AL FIANCO DELL’ASSOCIAZIONE ci sono gruppi del mondo dello scoutismo e del volontariato, la locale Stazione consorziale sperimentale di granicoltura della Sicilia, il Cea (Centro di educazione ambientale) di Messina diretto dall’ingegnere Francesco Cancellieri, uno dei promotori della Carta dei comuni custodi della macchia mediterranea. Fra le varie iniziative, l’anno scorso in collaborazione con il vicino presidio dei No Muos, la presentazione di un libro di Aurelio Angelini e Massimo Scalia riguardante i campi elettromagnetici del Muos e i loro effetti. Il controverso sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare degli Stati Uniti ha sventrato una collina all’interno della Riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi, che come il Bosco di Santo Pietro è un Sito d’interesse comunitario.

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