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Calcio: l’onda lunga del razzismo non rallenta

Calcio: l’onda lunga del razzismo non rallentaKevin Prince Boateng lascia il campo dopo gli insulti razzisti durante l'amichevole tra Pro Patria e Milan a Busto Arsizio, 3 gennaio 2013. La partita e' stata sospesa per insulti razzisti da parte dei tifosi della Pro Patria nei confronti dei giocatori di colore del Milan – fotoAnsa

Sport Sono stati 121 i casi secondo il report dello studio “Calciatori Italiani Sotto tiro”, presentato qualche giorno fa dall’Associazione Italiana Calciatori (AIC), che ogni anno analizza tutti gli atti di violenza, intimidazione e minacce compiuti nei confronti di calciatori e calciatrici, sia professionisti che dilettanti. 

Pubblicato più di un anno faEdizione del 17 febbraio 2023

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Un calcio al razzismo via social
Non sono ovviamente solo i numeri che preoccupano. Ma la conta è altissima. Nel calcio italiano, dalla Serie A alla Terza Categoria, l’onda lunga del razzismo non  tende a rallentare. Di più, dilaga. Sono stati 121 i casi secondo il report dello studio “Calciatori Italiani Sotto tiro”, presentato qualche giorno fa dall’Associazione Italiana Calciatori (AIC), che ogni anno analizza tutti gli atti di violenza, intimidazione e minacce compiuti nei confronti di calciatori e calciatrici, sia professionisti che dilettanti. Secondo il report, con la riapertura degli stadi, al termine delle limitazioni imposte dalla pandemia, i calciatori sono tornati a essere oggetto di insulti, minacce e intimidazioni, come singoli e come squadre, dai propri tifosi e da quelli avversari.

NELL’ULTIMO campionato censito, si è registrato, rispetto alle edizioni precedenti del Rapporto, un sensibile aumento dei casi. I calciatori di Serie A sono i più colpiti da fenomeni di intolleranza, il massimo campionato conta in media sette casi su dieci, inoltre le intimidazioni via social sono diminuite, pur essendo presenti, dalla riapertura degli stadi, in cui i calciatori sono stati offesi, intimiditi e minacciati ricorrendo principalmente a cori (36%) e insulti verbali (22%). I calciatori neri sono il primo bersaglio dei casi di razzismo (39%), poi dai atleti dai Balcani (11%) e dall’America Latina (8%).

PER I CALCIATORI italiani, spesso l’insulto è legato alla provenienza dalle regioni meridionali. Nel 64% dei casi sono i tifosi avversari a rendersi autori degli atti. Un caso di razzismo su due si registra al Nord, con la Lombardia che sfila la maglia nera al Lazio. Emerge anche che sono stati 151 gli arbitri aggrediti nei campi di calcio, soprattutto nei settori giovanili: otto erano donne.Sin qui c’è l’analisi numerica sullo stato delle cose sul fenomeno razzismo nel calcio italiano, che rappresenta il termometro della situazione nel nostro paese. E se va registrato lo sconcerto del presidente della Figc, Gabriele Gravina, secondo cui “si è fatto molto” contro l’intolleranza, la cronaca degli ultimi anni, anche antecedente all’esplosione dei contagi dovuti al Covid-19, ha contato diversi casi di razzismo negli stadi e in Rete.

Su un punto però Gravina ha pienamente ragione: il Daspo ai tifosi razzisti come strumento di deterrenza, non basta più – e forse non è stato mai decisivo – per arginare la furia di casi. L’ultimo, lo scorso weekend in seconda categoria veneta: un arbitro nero, della sezione di Treviso, si è sentito rivolgere insulti razzisti dopo aver assegnato un calcio rigore. Il fischietto, originario della Guinea, ha sospeso la partita. A Lecce, qualche settimana fa, ci sono stati cori beceri dagli ultras laziali verso Umtiti e Banda, della squadra pugliese. La pena è stata la squalifica, per un solo turno, della curva laziale allo stadio Olimpico. Senza dimenticare che nel campionato in corso, per non farsi mancare nulla, ci sono stati anche cori antisemiti nelle curve, almeno in quattro circostanze.

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