Il governo ungherese fa sapere alla Corte Penale Internazionale (CPI) che non arresterà Vladimir Putin se questi dovesse entrare nel paese. Ciò è stato reso pubblico da Gergely Gulyás, capo di gabinetto del primo ministro Viktor Orbán.

Com’è noto, di recente, la CPI ha emesso un mandato di arresto contro il presidente russo con l’accusa di crimine di guerra per aver deportato illegalmente centinaia di bambini dall’Ucraina.

Un portavoce della CPI sentito dall’ANSA ha fatto notare che Budapest ha firmato e ratificato il trattato che ha portato all’istituzione della CPI nel 2001, e che quindi ha “l’obbligo  di cooperare con la Corte nel quadro dello Statuto. Gulyás ha fatto notare che l’arresto di Putin in Ungheria è impossibile per motivi concreti. “Possiamo fare riferimento alla legge ungherese – ha detto – e sulla base di essa non possiamo arrestare Putin perché lo Statuto della Corte Penale Internazionale non è stato promulgato nel paese”. In altre parole, non è stato integrato nell’ordinamento giuridico ungherese.

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Ma non si tratta solo di questo; infatti il capo staff di Orbán ha precisato che comunque il mandato di arresto nei confronti del presidente russo è una decisione “infelice” in quanto non porta alla pace ma ad un’ulteriore recrudescenza della guerra. In altre parole, questioni giuridiche a parte, il governo ungherese mostra ancora una volta di non condividere iniziative che possano aggiungere altra tensione in uno scenario già di per sé estremamente complesso e che considera strumentali e/o comunque contrarie alla sua visione in termini di equilibri internazionali.

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L’esecutivo del Fidesz afferma il suo impegno alla ricerca della pace. Per questo, su sua iniziativa, il Parlamento ha di recente votato una risoluzione a favore della medesima in Ucraina. Risoluzione che sollecita una tregua e un accordo di pace. Secondo quanto si sa, essa condanna l’intervento militare di Mosca e riconosce il diritto dell’Ucraina all’autodifesa ma non chiede il ritiro dell’esercito russo dal territorio ucraino. Quest’ultimo aspetto, come abbiamo già avuto modo di precisare, confligge con il documento approvato dall’assemblea dell’ONU che invece chiede un ritiro completo e incondizionato.

Un altro motivo di perplessità, a Budapest, è l’adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO. Molti nel partito governativo dubitano fortemente dell’opportunità di compiere questo passo che l’Ungheria ha fatto nel 1999. Alcuni legislatori del Fidesz esprimono infatti preoccupazione pensando ai potenziali rischi geopolitici legati all’estensione di oltre mille chilometri del confine fra Russia e NATO con l’adesione della Finlandia. Orbán avrebbe chiesto di sostenere il “battesimo atlantico” dei due paesi scandinavi e la presidente Katalyn Novák sarebbe dello stesso parere, pur riconoscendo che la cosa va valutata molto seriamente e con senso di responsabilità.

Nel momento in cui scriviamo l’Ungheria e la Turchia non hanno ancora ratificato l’adesione di Stoccolma e Helsinki. In un primo momento il voto di Budapest era atteso per il 6-9 marzo che poi è diventato il 20 e in seguito il 27 di questo mese. Magdalena Andersson, ex premier svedese e attualmente leader del Partito Socialdemocratico fa pressione sul governo danubiano e dice che “è ormai ora che l’Ungheria ratifichi l’adesione della Svezia alla NATO”, mentre l’attuale primo ministro del paese nordico ha annunciato di voler chiedere spiegazioni all’Ungheria sulle ragioni del ritardo nella ratifica. Si attendono sviluppi.