L’Assemblea del Popolo di Sinone si trova nel cuore della cittadina ezida, in mezzo alla piana desertica di Niniveh, sul lato nord del Monte Shengal. Circondata da mura dipinte di bianco e azzurro, ha accanto una delle sedi delle Asaysh (le forze di autodifesa interne di Shengal) e intorno una delle aree più vissute e trafficate della comunità: c’è il mercato, ci sono negozi di ogni tipo.

È QUI CHE IERI, alle 11.30 ora irachena, la Turchia ha colpito diverse volte con i droni. Ha centrato la sede dell’Assemblea del Popolo e il mercato. Ha ucciso un bambino e suo nonno, Saleh e Khader Nasso. Erano all’interno del loro negozio: i video mostrano le macerie, il tetto di lamiere sfondato, un uomo che porta via il corpo del bambino coperto di polvere.

Altre immagini sono state girate nel cortile dell’Assemblea, luogo fisico dell’autonomia politica ezida nata dopo il massacro dell’Isis dell’agosto 2014 e su ispirazione del confederalismo democratico del vicino Rojava, teorizzato dal fondatore del Pkk Ocalan. I calcinacci ricoprono il piccolo giardino che dà sugli uffici.

Secondo i capi tribù ezidi, nell’attacco turco sono state ferite sei persone, tra cui un giornalista della locale Cira Tv, Saleh Barjas. È stato portato all’ospedale di Mosul. Fonti locali ci riportano delle tensioni esplose dopo l’attacco: l’esercito iracheno avrebbe rallentato l’evacuazione dei civili, mentre i presenti davano sfogo alla loro rabbia. A Baghdad chiedono di impedire alla Turchia di violare lo spazio aereo iracheno per bombardare quando e dove vuole.

IL GOVERNO CENTRALE lo aveva fatto a metà aprile, dopo il lancio di «Blocco d’artiglio», ennesima fase dell’infinita missione turca contro il Pkk nel nord del paese. Aveva anche convocato l’ambasciatore turco, ma senza risultati: al silenzio occidentale e della Nato (di cui quello di Ankara è il secondo esercito per grandezza), si unisce la debolezza istituzionale dell’Iraq, ancora alle prese con lo stallo politico post-elezioni del 10 ottobre scorso.

Non è la prima volta: da anni i droni turchi colpiscono Shengal, prendendo di mira luoghi e personalità simbolo dell’Amministrazione autonoma di Shengal. Azioni che sono parte integrante della più vasta operazione turca in corso contro la Siria del nord-est (su cui Erdogan minaccia un ampliamento dell’occupazione militare iniziata nel 2018) e contro le montagne del nord iracheno, roccaforte politica e militare del Pkk.

PROPRIO IERI le Hpg, le unità armate del Partito curdo dei lavoratori, hanno reso noto il loro bilancio di «Blocco d’artiglio», iniziata il 17 aprile scorso: 2.065 bombardamenti turchi e 1.493 attacchi con gli elicotteri, a cui i combattenti curdi hanno risposto con 11 raid contro le postazioni turche e centinaia di azioni di sabotaggio. Per un totale, scrivono le Hpg, di 985 soldati turchi uccisi, di cui due alti ufficiali. Numeri lontanissimi da quelli di Ankara che parla di un paio di militari morti nell’operazione.