È un ragazzo religioso ortodosso di 16 anni, studente di un collegio rabbinico, la vittima degli attentati con bombe avvenuti ieri mattina a due fermate di autobus all’ingresso occidentale di Gerusalemme. I feriti sono una trentina, due dei quali versano in gravi condizioni gravi. Il giovane, Aryeh Shtsupack, è spirato all’ospedale Shaare Zedek. Nel pomeriggio centinaia di persone hanno partecipato nel quartiere di Har Nof ai suoi funerali, fra cui il deputato di estrema destra Itamar Ben Gvir indicato come il prossimo ministro della pubblica sicurezza nel governo ultranazionalista che il premier incaricato Netanyahu sta componendo. Pur essendo uno dei centri principali della tensione, Gerusalemme non registrava un attentato con esplosivi nella sua parte ebraica da diversi anni. Otto anni fa un attacco con coltelli e armi automatiche fece diversi morti in una sinagoga.

Poche ore prima delle esplosioni, un adolescente palestinese, Ahmad Shahadeh, 16 anni, è stato ucciso dal fuoco dell’esercito israeliano entrato con ingenti forze martedì notte nella città di Nablus, l’ultima di decine di incursioni lanciate in Cisgiordania negli ultimi mesi. Secondo un bilancio palestinese, dall’inizio del 2022 le forze di sicurezza israeliane avrebbero ucciso 200 palestinesi in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, tra i quali 51 minori. Una trentina nello stesso periodo i morti israeliani, in buona parte uccisi la scorsa primavera da attacchi armati compiuti a Tel Aviv e in altre città. Ieri combattenti palestinesi si sono impadroniti nell’ospedale di Jenin del corpo di un giovane druso israeliano, Tiran Fero, residente in Galilea, morto in un incidente stradale nei pressi della città. Intenzionati, con ogni probabilità, ad usare la salma per uno scambio, affermano che Fero era un militare dell’esercito israeliano (i drusi sono soggetti alla leva obbligatoria), la famiglia smentisce categoricamente.

Gli ordigni di Gerusalemme, hanno stabilito le indagini, sono stati lasciati dentro due borse e azionati a distanza con telefoni cellulari. Il primo è esploso a Givat Shaul poco dopo le 7. Il secondo intorno alle 7.30 a Ramot. Le due bombe erano piene di chiodi. Non ci sono state rivendicazioni ma i gruppi islamici Hamas e Jihad hanno elogiato gli attentati descrivendoli come una risposta alle azioni degli occupanti israeliani contro i palestinesi. «L’operazione nella città di Gerusalemme è una risposta naturale all’occupazione, al terrorismo e alle sue pratiche criminali contro il popolo palestinese indifeso ed i suoi luoghi sacri», ha affermato il portavoce del Jihad, Tarek Ez Din, aggiungendo che «non rimarrà impunita nessuna operazione di incursione nei luoghi sacri (islamici) o aggressione ai figli e alle figlie del nostro popolo a Gerusalemme, Hebron, Jenin e Nablus».

Dure le condanne dell’accaduto giunte dall’ex premier Yair Lapid, dal primo ministro incaricato Netanyahu e da varie forze politiche israeliane. Gli attentati sono destinati a pesare sulla formazione in corso del nuovo governo israeliano, con i leader dei partiti dell’estrema destra che chiedono a Netanyahu di autorizzare la ripresa degli omicidi mirati di palestinesi e di dare vita a un esecutivo che, esortano, dovrà affrontare con il pugno di ferro «le minacce alla sicurezza di Israele».  L’ex generale Zvika Fogel, ora deputato di Otzma Yehudit, ha affermato che «tra il pianto di una sola madre ebrea e di 1.000 madri palestinesi, è meglio che piangano 1.000 madri palestinesi». Il partito Likud e i capi di Sionismo religioso e Potere ebraico hanno chiesto che si concludano rapidamente i negoziati, fermi da giorni a causa di disaccordi sull’assegnazione dei principali ministeri. La destra nella campagna elettorale per le legislative dello scorso primo novembre ha puntato con forza sulla sicurezza e accusato il governo uscente del primo ministro Yair Lapid «di non aver saputo combattere il terrorismo» in modo efficace.

Sempre ieri, le ruspe dell’esercito israeliano hanno ridotto in macerie una scuola – ultimata appena qualche giorno fa grazie a fondi messi a disposizione dall’Italia – a Isfey al Fauqa, nell’area di Mesafer Yatta a sud di Hebron. Ventidue ragazzi di quattro villaggi, non potranno più seguire le lezioni. L’intera zona, per decisione unilaterale di Israele, è stata dichiarata Area di esercitazione 918. E forti di una sentenza della Corte suprema, i comandi dell’esercito si preparano ad espellere dalle loro terre e casa circa 1200 palestinesi, tra cui numerosi bambini.