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Boccia (Pd): «Di Maio ora sia più coraggioso, l’alleanza non si fermi in Umbria»

Boccia (Pd): «Di Maio ora sia più coraggioso, l’alleanza non si fermi in Umbria»Francesco Boccia, ministro per gli affari regionali

Il ministro degli affari regionali Chi ha voluto questo governo perché non ha un mestiere nella vita o perché voleva farsi un partitino in vitro ha sbagliato. Il Pd l’ha voluto per costruire un fronte contro la destra. Un congresso? Sosterrei Nicola e la sua idea di fronte progressista

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 ottobre 2019

Ministro Boccia, lei è pugliese. Un voto che coinvolge tanti elettori quanti ne ha la provincia di Lecce, come ha detto il premier Conte, non cambia le sorti dell’alleanza di governo?

A Salvini, che ha utilizzato strumentalmente questa battuta, ricordo che a Lecce lui ha perso malissimo, al primo turno, solo tre mesi fa. Quindi purtroppo domenica non eravamo a Lecce. In Umbria abbiamo perso perché è finito un ciclo politico. Ma trasformare una vicenda regionale in una vicenda nazionale è propaganda. Se la fa Salvini è parte del gioco. Invito gli alleati a non cadere nella trappola.

È finito un ciclo: che significa?

Il Pd ha retto ma si è ridimensionato rispetto alle scorse regionali. E nonostante la scissione ha mantenuto quasi gli stessi voti delle europee. Detto questo, abbiamo perso. Ma giudicare un’alleanza che deve guardare al futuro con il risultato dell’Umbria non è un segno di grande intelligenza politica.

L’alleanza Pd-5s deve proseguire sia al governo centrale che alle prossime regionali?

Decidendo di fare questo governo abbiamo deciso di tagliarci i ponti alle spalle. È stata una scelta consapevole. Se qualcuno invece l’ha fatto perché non ha un mestiere nella vita, o deve costruire un partitino in provetta, pazienza per lui. Ma quando sento dire che dobbiamo riesumare la vocazione maggioritaria da quelli che hanno voluto il Rosatellum, non rispondo perché sono rispettoso, all’antica. E non ho tempo da perdere: giro l’Italia per costruire un’autonomia differenziata come lotta senza quartiere alle diseguaglianze.

Di conferma della vocazione maggioritaria parla anche Zingaretti.

No, Zingaretti dice che bisogna mantenere la vocazione maggioritaria in uno schema di alleanza. Sulla legge elettorale delle due l’una: o si va a un maggioritario spinto, ma significa che i piccoli indiani scompaiono; oppure se si va a un proporzionale puro si fa una legge alla tedesca, con una soglia al 5 per cento, e anche in questo caso i piccoli indiani scompaiono. Il nodo è capire se si vuol fare politica per fare i piccoli indiani.

Ce l’ha con Renzi o con le sinistre?

Ce l’ho con chi deve decidere se gioca ai piccoli indiani o vuole costruire l’alleanza sociale alternativa alla destra dei manganelli e dei muri. In questo caso non si può non avere una visione sociale comune che, anche al tempo del capitalismo sfrenato, tenga al centro il lavoro, l’ambiente e la scuola. Sono le parole d’ordine del congresso di Zingaretti che ha fatto emergere, per fortuna, un altro Pd rispetto a quello disastroso che ci ha portato al 18 per cento.

Però ora Zingaretti dice: se nel governo non c’è un comune sentire meglio trarne le conseguenze.

Sono d’accordo. Se si tira a campare non si costruisce nulla, meglio il voto. Abbiamo immaginato di costruire l’alternativa ai nazionalisti andando al governo con i 5 stelle. Ma al governo per fare le cose.

Il governo tira a campare?

Io penso di no. In questi due mesi abbiamo onorato la cambiale che Salvini ci aveva lasciato da pagare, con i 23 miliardi di clausole. Il paese era sulle montagne russe dell’instabilità e dello spread alto, isolato in Europa. Ora abbiamo il commissario agli affari economici e il presidente dell’europarlamento. Nella manovra abbiamo recuperato i 23 miliardi della clausole, abbassato le tasse sul lavoro, fatto partire gli interventi su famiglie e scuola e la svolta green.

Non è una manovra che fa sognare.

Non farò mai dichiarazioni roboanti. Ma se agli alleati non piace, la penso come Nicola: si traggano le conseguenze. Ma io in giro per l’Italia incontro molti elettori dei 5 stelle che condividono il lavoro di questo governo. Ovviamente dobbiamo dirlo con forza, senza vergognarci. Non capisco perché i vertici siano così timidi. Tiriamo fuori il coraggio e diciamo con chiarezza che siamo alternativi alla destra nazionalista.

Ora Di Maio dice: meglio da soli.

Di Maio deve avere pazienza. Nelle regionali il M5s non ha mai avuto risultati importanti. Neanche quando aveva il vento in poppa. Chiedo loro di continuare a rischiare con tutti noi per cambiare il paese in meglio. Siamo partiti dall’Umbria, il voto più complicato. Se fossimo partiti dall’Emilia ora il problema non si porrebbe. Ma anche in quel caso, vincendo, non penseremmo di aver conquistato l’Italia. Il paese è diviso in due. La metà che non vota destra può essere l’area progressista, ma se decidiamo di metterla insieme.

È sicuro del successo in Emilia? Lì i 5 stelle, ammesso che restino disponibili all’alleanza, chiedono un candidato diverso dal vostro presidente uscente Bonaccini. E prima forse ci sarà il voto in Calabria, disastro annunciato.

Sono tutte storie diverse. Bonaccini è uno dei migliori presidenti che abbiamo avuto in Italia.

I 5 stelle non la pensano così.

Ce ne faremo una ragione. Siamo disposti a trovare soluzioni civiche quando le condizioni lo chiedono. Non è il caso dell’Emilia.

L’alleanza «strutturale» con i 5 stelle non agita solo Renzi o Di Maio ma anche il Pd. Serve un passaggio congressuale per proseguire su questa strada?

Il Pd di Zingaretti è tornato ad essere il partito del confronto e dell’ascolto. E con il salto digitale sarà sempre più orizzontale. Martina propone di introdurre il congresso per tesi, è il momento di farlo.

Non servirebbe un congresso vero, con le primarie, per cambiare così radicalmente la linea?

Non escludo nulla, e Nicola è in grado di interpretare la linea più avanzata, quella che porta alla costruzione di un grande fronte progressista. Io lo sosterrei. Ma chi la pensa diversamente lo dica chiaramente.

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