«Bisognava sciogliere questo Csm? Per un po’ lo abbiamo pensato»
Giovanni Zaccaro, togato di Area, lei ha votato per Gianni Melillo alla procura nazionale, ha visto che il suo collega Ardita la giudica una scelta «devastante per l’antimafia»?
Con il massimo rispetto per la vita professionale di Gratteri, è sbagliato dire che la sua mancata nomina coincida con la bocciatura del suo lavoro a Catanzaro, così si legittima l’idea che per i magistrati esistono «promozioni» o «bocciature», ossia che esiste una carriera in magistratura. Proprio contro questa idea i magistrati hanno deciso di scioperare. Ho votato con convinzione Melillo perché era l’unico candidato che nel curriculum somma la direzione di una procura nazionale antimafia con una lunga esperienza in direzione nazionale, dunque è capace di svolgere le funzioni di procuratore nazionale senza «invadere» il campo delle procure distrettuali.
A proposito, è d’accordo con lo sciopero indetto dall’Anm?
Ho sempre avuto perplessità sul fatto che un potere dello Stato, come la magistratura, che non ha padroni contro cui protestare, possa scioperare. Ma molte delle norme approvate alla camera, che peggiorano il testo della riforma Cartabia, hanno un valore simbolico di rivalsa contro la magistratura. Dunque serve una risposta altrettanto simbolica come lo sciopero.
Lei è stato eletto al Csm con Area, tre dei quattro anni di questa consiliatura sono trascorsi sotto lo scacco del caso Palamara. È stato un caso, come afferma la relazione al disegno di legge di riforma in via di approvazione, di «correntismo» da debellare?
Per correntismo si intende il fenomeno, simile al partitismo, per il quale le correnti, associazioni private di magistrati, condizionano l’attività istituzionale del Csm per favorire i propri aderenti. Fenomeno gravissimo e da combattere, ma i fatti dell’Hotel Champagne non derivano dal potere delle correnti. Anzi me descrivono la crisi: nel generale vuoto di ideali, le correnti sono state monopolizzate da personalità come Ferri e Palamara, prive di grandi connotazioni ideali ma capaci di tessere rapporti con la politica romana e acquisire grande consenso fra i magistrati. Dalle chat di Palamara è emerso che faceva favori a tutti, non solo a quelli della sua corrente. Non è dunque un problema di correntismo ma di gestione clientelare del potere. E il clientelismo si alimenta con l’ansia di carriera dei magistrati. Se si ricordasse che i magistrati sono tutti uguali fra loro allora il dibattito non sarebbe più incentrato sulle nomine ma sulle scelte di politica giudiziaria.
Non è responsabilità della magistratura associata, e per quello che le riguarda della parte progressista, non aver denunciato e forse neppure compreso per tempo questa crisi di ideali?
Le associazioni dei magistrati hanno subito la stessa crisi di tutti i corpi intermedi. La responsabilità dei magistrati democratici è sicuramente più grave perché avrebbero dovuto avere gli strumenti per coglierne gli indizi. La progressiva gerarchizzazione degli uffici e l’aumento dei carichi di lavoro, temi per anni trascurati proprio dalla «sinistra giudiziaria», sono la causa di un mix micidiale di conformismo giudiziario e di chiusura corporativa che hanno inaridito il dibattito all’interno alla magistratura. La cosa che sfugge ai più è la progressiva divisione della comunità: ci sono i magistrati che si dedicano a organizzare convegni e scrivere libri, che si occupano di politica giudiziaria, che dirigono gli uffici; poi ci sono i magistrati qualunque che sempre più si percepiscono separati dai primi. Nella comune opinione i magistrati democratici militano nella prima categoria e per questo fanno fatica a riacquistare l’egemonia culturale che avevano decenni fa. La vera sfida è tornare in connessione con i magistrati normali per portarli su posizioni giudiziarie costituzionalmente orientate. Solo assunta la guida culturale della magistratura (non per forza la maggioranza numerica ) si potrà avere la credibilità per affrontare la questione morale.
Il capo dello Stato ha deciso di non sciogliere questo Csm, malgrado il progressivo coinvolgimento nello scandalo di molti suoi membri, per portarlo a nuove elezioni con la riforma. Le nuove regole sono in arrivo, è valsa la pena «resistere»?
La nuova legge elettorale per la componente togata del Csm è maggioritaria. Ma il Csm non è un organo di governo dove servono maggioranze e minoranze, è un organo di garanzia e avrebbe bisogno di un sistema elettorale proporzionale. Inoltre la creazione di macro collegi favorirà la elezione dei candidati che provengono dalle grandi sedi, riducendo ancor di più la rappresentanza. Noi di Area abbiamo rinunciato da subito alle pratiche clientelari e abbiamo anche subito gli strali di chi, vicino al nostro gruppo, si è sentito non adeguatamente valorizzato (lo si capisce anche leggendo le chat di Palamara). Nonostante ciò, al momento dello scandalo in molti abbiamo pensato che sarebbe stato meglio un gesto catartico come lo scioglimento del Consiglio. Ma le istituzioni si difendono cominciando dal rispetto delle regole e non vi sono mai stati i presupposti previsti per una soluzione del genere. Alla fine, rispetto a scelte demagogiche e reazioni isteriche, ha prevalso l’alto senso istituzionale del presidente Mattarella.
E lei, Zaccaro, che bilancio fa di questa sofferta consiliatura?
Su nostro impulso il Csm ha lavorato per riconquistare credibilità. Alcune previsioni della riforma portata avanti dalla ministra Cartabia, annunciate come novità, abbiamo cominciato a praticarle già subito dopo lo scandalo, penso alla calendarizzazione delle pratiche di nomina secondo l’ordine cronologico dei posti vacanti o al ricorso alle audizioni dei candidati. Facciamo invece fatica a convincere gli altri gruppi consiliari ad essere più veloci e severi nelle procedure di conferma dei dirigenti.
Se i pm diventassero semplici parti processuali, addirittura valutati negativamente qualora non conseguano una condanna, non avremmo più magistrati che indagano e processano le forze dell’ordineGiovanni Zaccaro
Una delle novità più contestate dalla magistratura è la rigida separazione delle funzioni di pm e giudice. Eppure già oggi il 68% dei magistrati conclude la carriera con nessuno o un solo cambio. L’Anm difende un recinto vuoto?
Purtroppo la separazione già esiste, negli ultimi anni pochi magistrati sono passati da una funzione all’altra. È un peccato perché un pm legato alla giurisdizione è una garanzia in più per i cittadini. Se i pm diventassero semplici parti processuali, addirittura valutati negativamente qualora non conseguano una condanna (come molti propongono) non avremmo più magistrati che indagano e processano le forze dell’ordine delle quelli si avvalgano, come meritoriamente hanno fatto la procura di Roma nel caso Cucchi o le procure che hanno indagato sulle violenze in carcere. Non avremmo più pm disposti a indagare sui potenti. Certo, i colleghi requirenti devono percepirsi come organo di garanzia e dunque sottrarsi alla tentazione di scorciatoie processuali, devono contribuire a sconfiggere il dilagante populismo penale.
Se venisse approvata la riforma, resterebbero in piedi due, forse tre referendum. Sicuramente quello che punta a introdurre limiti nel ricorso alla custodia cautelare. Una battaglia garantista, non trova?
Non sono mai stato un fan degli strumenti di democrazia diretta. Soffro molto della cronica difficoltà del parlamento a legiferare su temi importanti e divisivi, ma non per questo mi straccio le vesti per l’inammissibilità dei referendum più importanti. Quelli residui sono di poco rilievo tranne quello che lei cita sulle esigenze che devono fondare una misura cautelare. Io penso che la libertà personale sia un bene supremo e che spetti al giudice vigilare che non sia arbitrariamente compressa dalla potestà punitiva dello Stato o da esigenze di difesa sociale e prevenzione. Ma il luogo dove trovare il bilanciamento fra la tutela della libertà e l’esigenza di prevenire nuovi reati è il processo, non può farlo la legge con la sua rigidità.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento