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Barbe (e differenza)

In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 20 ottobre 2015

Ho ceduto alla debolezza di nominare in questo spazio il fatto che mi sono fatto ricrescere la barba. Accostando la cosa all’aspetto del coetaneo Jeremy Corbyn e addirittura all’imponente barbone di Marx. Barbe di sinistra, insomma.

Ma mi sto accorgendo con qualche raccapriccio che siamo nel pieno di un ritorno della barba come moda: se ne discute con dovizia di argomentazioni sulle riviste patinate destinate al glamour maschile.

C’è un boom di barber-shop e si vendono una quantità di rasoi speciali per calibrare la lunghezza del pizzetto. Circolano studi «scientifici» in cui si analizzano i corsi e i ricorsi storici della tendenza degli uomini a radersi o invece a lasciarsi crescere barba e baffi in diverse fogge, dai diversi significati.

Sembra, per esempio, che a favorire le pelurie più o meno abbondanti sui volti maschili siano i periodi di crisi economica: la recente nuova ondata risalirebbe agli anni dopo il crash globale del 2008. Come già negli anni ’20 e ’30.

Altre tesi indicano una specie di «ciclo Kondratieff» dell’aspetto virile: quando dominano i rasati, qualcuno per distinguersi e farsi notare si fa crescere la barba e inaugura una tendenza. Ma quando i barbuti sono in eccesso si innesca una reazione uguale e contraria (secondo alcuni «analisti» saremmo già sulla soglia del ritorno del pendolo). Mi e vi risparmio le disquisizioni sull’origine dei tipi maschili «metrosexual», «retrosexual», «genderless», «bear»…

Ma è altrettanto facile mettere in relazione le barbe con le passioni giovanili, più o meno politiche. Lo dico da vecchio sessantottino.

Purtroppo siamo circondati da barbe che ci parlano delle più diverse e orribili tendenze, individuali e collettive: il pensiero va alle truci milizie del “Califfo”, ma anche ai giovani e giovanissimi militanti della criminalità urbana di cui ci parlano le cronache, e che abbiamo ammirato nella fiction Gomorra – la serie.

Dunque non possiamo permetterci di indossare la nostra barba senza porci qualche domanda. Che cosa significa per noi e per chi ci guarda?

Nella rubrica Single di Antonella Baccaro, sul Corriere della Sera di sabato scorso, ho letto questa diagnosi: gli uomini non si radono più perché dietro la barba si nascondono. E si nascondono dal fatto che “sono in crisi”. Naturalmente ciò è dovuto alla nuova forza e soggettività femminile. Gli uomini “si sono sentiti attaccati e stanno reagendo cercando di restringere gli spazi che avevano finora concesso”. La barba segnerebbe un “confine” che le donne non possono superare: potete essere come noi in tutto, ma fino a un certo punto!

Il commento finale è impietoso: “Poveri uomini, è davvero poco”.

Ci sarebbe da discutere su questo tipo di rappresentazioni, tuttavia proviamo a riconoscere il nucleo di verità che contengono. Le relazioni tra i sessi sono cambiate, e molto, soprattutto per iniziativa delle donne. Con una dirompente richiesta di ottenere parità e nello stesso tempo riconoscimento pieno della differenza.

Una bella contraddizione per noi che ogni mattina, guardandoci allo specchio, siamo assaliti da dubbi sempre più sottili e difficili su come affrontare la giornata. Tra l’altro: radersi, e godersi il piacere di una bella spruzzata di after-shave? Oppure rifinire accuratamente lunghezza e profilo del pelo che incornicia il volto?

Potrebbe non essere poi così “poco” se questi interrogativi e questi gesti ci aiutassero a vedere meglio la differenza che è in noi. E come valorizzarla in una risposta che si emancipi tanto dalle paure difensive quanto dai rancori aggressivi. Con o senza barbe.

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