A scuola con réclame e jingle: brandizzati i banchi, i diari, le palestre (quando ci sono). Persino le gite, come i programmi tv, saranno «offerte con il contributo di». Non è una puntata di Futurama ma la lenta conclusione di un percorso avviato 25 anni fa, istituzionalizzato dalla Buona scuola di Renzi e ampliato dal governo di destra. Il ministro dell’Istruzione (e merito) Valditara il mese scorso ha inviato ai dirigenti una nota sul Quaderno 4, intitolato «Istruzioni per l’affidamento dei contratti di sponsorizzazioni nelle istituzioni scolastiche» chiedendo alle scuole di esprimere osservazioni e suggerimenti entro un mese. Nell’idea liberista dell’Istruzione, portata avanti con tenacia da quasi tutti i governi degli ultimi 30 anni, è convinzione diffusa che i privati possano portare risorse per colmare le carenze dello Stato.

Anche di fronte all’evidenza dei dati che spiegano come le poche sponsorizzazioni avviate fino a ora siano andate tutte a vantaggio di scuole già strutturate, in qualche modo «appetibili» per il mercato e, naturalmente, in prevalenza al Nord. Un’autonomia differenziata già in atto e condotta attraverso le sovvenzioni che i privati danno per garantirsi la pubblicità anche nella scuola statale. Diversi presidi del Sud hanno espresso preoccupazione. Come Matteo Croce, preside del liceo Dolci di Palermo: «Quando sono arrivato ho dovuto far riparare il bombolone del gas per il riscaldamento, che abbiamo pagato noi. Qui manca la mentalità imprenditoriale dell’investimento in cultura e non sarà facile agganciare qualcuno disposto a finanziare le scuole, al Nord va diversamente. Il rischio è che questa misura accentui una disparità già esistente». Anche perché non si tratterebbe solo di fornire corredo scolastico.

Nella nota inviata da viale Trastevere si legge che «le sponsorizzazioni costituiscono per le Istituzioni scolastiche una fonte di finanziamento aggiuntiva rispetto a quelle di natura pubblica e rappresentano un’opportunità concreta per il miglioramento dell’offerta formativa». I sindacati di settore, in questo caso, si sono ritrovati uniti. Per Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil, «si vogliono determinare ulteriori divisioni tra scuole e scuole oltre che tra territori, non abbiamo bisogno di questo». Anche la Uil di Giuseppe d’Aprile teme, per le scuole del Sud, il rischio «di soffrire molto di più di quelle del Nord». «Dove sono le imprese disposte a dare soldi alle scuole senza un ritorno economico? Dove sono, nel Sud, le imprese? Vogliono generare un far west tra scuole appartenenti a diversi territori e tra le diverse scuole?» si chiede Giuseppe Antinolfi, docente e segretario provinciale Snals Milano.

«Lo Stato e non l’impresa privata deve mettere la scuola in condizione di far solo il proprio compito: istruire ed educare senza alcun condizionamento economico, solo in questo modo le scuole non si trasformano in squadre di calcio», aggiunge Antinolfi. Il tema che agita anche i favorevoli al provvedimento è quello del codice etico che regolamenterebbe i rapporti tra istituti e imprese e che ancora manca. «Le sponsorizzazioni da parte delle aziende nelle scuole non sono una novità ma bisognerebbe regolare la materia perché non ci siano fughe in avanti o una forma di bassa commercializzazione», aveva commentato Mario Rusconi, presidente Anp di Roma. «Le aziende che intervengono in modo positivo – prosegue – ben vengano, purché ci sia un codice organizzativo ed etico».

Valditara: «La norma non è ancora partita, siamo ai pareri preliminari, dovrebbe esserci un fondo compensativo per le aree più disagiate». Se ne parlerà a urne sigillate.